DARIO FO: "CROCE VIA"

Suona scandalo la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo che, accogliendo la denuncia di una cittadina italiana, dichiara che la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche è una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni. Scandalizza enormemente i cattolici apostolici romani. Ma non i cristiani. Perché ci sono anche i cristiani non apostolici romani che non fanno del predominio del simbolo della croce il loro valore essenziale. Naturalmente è tutt'altro che offensiva per chi è ateo e non ha religione come me, e tantomeno la sento offensiva per chi professa un'altra religione.

L'elemento straordinario della sentenza, destinata a destare non solo scandalo ma dibattito e scontro, sta nel fatto che precipita sullo schermo piatto della realtà italiana che vive - vivrà? - nei millenni all'ombra del potere della Chiesa romana. Da questo punto di vista è la critica profonda al simbolo per eccellenza, la croce. Proposto finora come una simbologia imposta, affisso ovunque in scuole, ospedali, uffici come il connotato forte della nostra cultura. Una onnivora cultura di stato. E i cattolici difficilmente molleranno l'idea di essere i gestori della religione di stato.

Non a caso però la Corte europea ha aggiunto che proprio la presenza dei crocefissi nelle aule può facilmente essere interpretata dai ragazzi di ogni età come un evidente segno religioso e dunque potrebbe condizionarli: se incoraggia i bambini già cattolici, può invece essere di condizionamento e disturbo per quelli di altre religioni e per gli atei.

Esplode l'ira del Vaticano, il governo di centrodestra accusa, balbettano dall'opposizione democratica: «È una questione di cultura, di tradizione». Allora apriamo anche il libro nero di queste cultura e tradizione. Il cattolicesimo della Chiesa romana nasconde dietro il crocifisso interpretato come riscatto, una cultura e una storia di violenze, sopraffazioni, guerre. In nome della croce sono stati commessi grandi misfatti, Crociate, Inquisizioni, la rapina e i massacri del Nuovo mondo, la benedizione degli imperi e degli uomini della provvidenza. Pensate che il cattolicesimo ha proibito fino all'Ottocento di tradurre in volgare la Bibbia e il Vangelo.

In nome di quel «segno» si sono commessi i crimini più efferati. E si commettono, con le proibizioni contro il diritto degli uomini a gestire la conoscenza e la libertà individuale e sessuale. Se è la «nostra cultura», come dichiarano l'intrepida ministra Gelmini e il «pontefice» Buttiglione che accusa la sentenza di Strasburgo di essere «aberrante», perché non raccontare il lato oscuro della croce come simbologia di potere? Invece è come se continuassero a dire: lo spazio del visibile, dell'iconografia quotidiana della realtà è mio, lo gestisco io e ci metto le insegne che voglio io. È questo che è sbagliato.

La Conferenza episcopale strilla che si tratta di sentenza «ideologica». Racconti della violenza nella cultura storica della Chiesa romana apostolica, dei roghi contro la ragione eretica che da sola ha fatto progredire l'umanità. Se è l'origine salvifica per tutti che si vuole difendere, allora va accettato e relativizzato al presente, perché in origine esso era solo un segno di riconoscibilità dei luoghi clandestini di preghiera e culto. Non un simbolo imposto, che rischia di richiamare un rituale comunque di morte, contro gli altri, le altre culture, storie, religioni.

Che la realtà che ci circonda, in primo luogo quella formativa della scuola, torni ad essere spazio creativo oltre le religioni, libero per tutti dagli obblighi oppressivi dei valori altrui.

(4 novembre 2009) Il Manifesto


IO VOGLIO SOLO ADDORMENTARMI SULLA RIPA DEL CIELO STELLATO (ALDA MERINI)

Sono folle di te,amore
che vieni a rintracciare
nei miei trascorsi
questi giocattoli rotti delle mie parole.
Ti faccio dono di tutto
se vuoi,
tanto io sono solo una fanciulla
piena di
poesia
e coperta di lacrime salate,
io voglio solo addormentarmi
sulla ripa del cielo stellato
e diventare un dolce vento
di canti d'amore
per te. Alda Merini 1931-2009


LO SMANTELLAMENTO DELLA CULTURA ITALIANA

“Cosa ti credi di essere? Uno di Brera?” Si diceva così ai miei tempi, noi allievi dell’Accademia, a qualche studente un po’ borioso che si voleva metter in riga. Perchè “quelli di Brera” erano comunque una spanna in su di tutti gli altri. Uscire diplomati da quella scuola antica, nata a metà Settecento per volere dell’imperatrice Maria Teresa “per sottrarre l'insegnamento delle Belle Arti ad artigiani e artisti privati e sottoporlo alla pubblica sorveglianza e al pubblico giudizio”, era già di per sè una medaglia da appuntarsi al petto. Una fucina di artisti destinata non solo ai talenti nostrani. Nel palazzo di via Brera 28 sono arrivati studenti e maestri del mondo intero. Attirati dall’eccellenza dell’insegnamento ma anche dalla contiguità della sua Pinacoteca, raccolta di opere straordinarie, nata proprio come occasione didattica: con pochi passi gli allievi potevano accedere a quel patrimonio, studiarlo nei dettagli, copiare dipinti, modellare calchi “dal vero”.

Un “unicum” magnifico, un punto di riferimento per l’arte e la cultura internazionali, che adesso qualcuno ha deciso di voler smembrare. I quadri non ci stanno più, tesori sono pigiati nelle cantine, tiriamoli fuori, allarghiamo la Pinacoteca, facciamola diventare il nostro Louvre. E sbattiamo fuori i giovani, gli studenti e i professori, mandiamoli in periferia, in qualche spazio galleggiante nel nulla. E perché no, magari in una caserma, certo con uno spazio ridotto e poco armonico, ma siamo in un momento di crisi! Che ci vuoi fare… Il risultato sarà di rendere la formazione artistica, l’arte di domani, da viva e vitale com’è stata fino a oggi, a cupamente museale, nel senso stretto del termine.

Ma questo attacco alle Belle Arti, patrimonio principe del nostro Paese, non è solo circoscritto a Milano. L’elenco delle Accademie nazionali in grave crisi o addirittura in predicato per chiudere, cresce paurosamente di giorno in giorno. Grida di allarme arrivano dagli enti di Bologna e di Firenze, di Roma, di Napoli, di Urbino, di Genova, Venezia, Palermo, Carrara… e l’elenco è ancora lungo e coinvolge quasi tutte le scuole d’arte d’Italia. Tutte accademie storiche lasciate agonizzare per mancanza di fondi, sempre meno appetiti dai docenti più prestigiosi. Una lenta agonia, direi meglio, un’eutanasia concertata dai responsabili dei nostri Beni Culturali, senza che nessuno, neanche il Papa, stavolta abbia qualcosa da ridire… eppure la Brera più antica (1100) era stata fondata dagli Umiliati e più tardi ristrutturata dai Gesuiti.
Non basta. Questo folle progetto di annientamento di talenti di domani sta strabordando già oltre le arti figurative. Anche i Conservatori, anche le Scuole di Arte Drammatica, si stanno spegnendo a velocità impressionante. Di nuovo Milano, fino a qualche decennio fa faro di cultura europea, sembra sgomitare per arrivare prima. Sta franando la Scuola d’arte drammatica che porta il nome di uno dei più insigni operatori culturali del dopoguerra, la “Paolo Grassi”, un tempo vivaio di attori e registi insigni. In pessima salute la Scuola di Musica del Conservatorio, anch’essa considerata fino a pochi anni fa prestigiosissima. Insomma è come se questa città, se questo Paese, facessero a gara per far fuori il futuro della nostra cultura. Una follia masochistica, o forse il cinico progetto di estirpare quella mala erba, pericolosa perchè mai addomesticabile, che sono sempre stati e sempre saranno gli artisti.

Dario Fo

 


QUEL COMUNISTA DI SANT'AMBROGIO [DAL TESTO DELL'OPERA DI DARIO FO]

Ambrogio, indignato, approfitta del grande exultet prepasquale e nel bel mezzo del rito sale sull’ambone e scandendo le parole si rivolge ai fedeli che affollano la Basilica. DARIO: L’argomento che sto per affrontare coinvolge soprattutto i maggiori che fra di voi mi ascoltano. Più precisamente, me la prenderò coi latifondisti e i grandi imprenditori, mancherò di riconoscenza proprio verso loro che hanno appoggiato me e i miei seguaci qui presenti, quando nella lotta per il possesso delle Basiliche, ci hanno sovvenzionato con denari, vettovaglie, e indumenti acciocché si riuscisse a resistere.

 

A questo proposito prenderò abbrivio da una parabola narrata da Cristo, eccovela: “Un proprietario di terre nel raccogliere i frutti della semina, scopre con compiaciuta sorpresa che il grano da stipare è di gran lunga più abbondante degli altri anni, al punto che, una volta riempiti i granai, si ritrova con mucchi di frumento che non sa dove sistemare. I figli suoi lo consigliano: “Questa, padre, è un’ottima occasione per aiutare i poveri senza lavoro né terra, distribuiamone una parte a loro!” il padre si rizza all’impiedi urlando “No, neanche per sogno, nemmeno una libra per quei morti di fame! Preferisco piuttosto distruggere tutto il raccolto che mi avanza!”

Ma ora ascoltate il commento di Gesù a proposito di questa parabola: “Quel raccolto è davvero eccezionale. Ma è tutto dono del Signore? No, tutto quel grano è un tesoro solo se chi l’ha ricevuto ora lo spartisce con i disperati. Ogni bene è fecondo solo se non lo si trasforma in avido accumulo di guadagno’. “Aprite anche i granai della giustizia per essere il pane dei poveri, la vita dei bisognosi, l’occhio dei ciechi, il padre degli orfani”. “Voi pensate solo a rivestire le vostre pareti con lastre di pietre raffinate e a spogliare gli uomini, e avete pure l’impudenza di dichiarare che lo fate per il loro bene. Ricco signore, non t’accorgi che davanti alla tua porta c’è un uomo nudo, e tu sei tutto assorto a scegliere i marmi che dovranno ricoprire i muri. Quell’uomo chiede del pane e intanto il tuo cavallo mastica un morso d’oro. Tu vai in visibilio contemplando i tuoi arredi preziosi, e quell’uomo nudo trema di freddo di fronte a te e tu non lo degni di uno sguardo, non l’hai nemmeno riconosciuto. Sappi che ogni uomo affamato e senz’abito che viene alla tua porta è Gesù; ogni disperato è Gesù. E lo incontrerai il giorno in cui si chiuderà il tempo del mondo e lui, quello stesso uomo, verrà ad aprirti e ti chiederà: “Mi riconosci?”.
Voi, ricchi, dite: “C’è sempre tempo per pentirsi e pagare i debiti”. Ma non c’è peggior menzogna. Ricchi, non vi è nulla nella vostra attività di uomini che possa piacere a Dio. Anche se tenete appesa una croce sopra il letto e disponete di una cappella dove pregare soli e assistere alla messa. Voi vi stringete ai vostri beni, gridando “È mio!”. No, nulla è vostro su questa terra. Il proprietario è solo il Creatore; quello che credete di possedere è solo momentaneamente vostro, e serve per render palese la vostra ingordigia. Distribuitene, finché siete in tempo, ai disperati, ai derubati dalla vostra insolente avidità. Nessun lascito sostanzioso alla chiesa e al suo clero vi salverà, voi disprezzate tanto gli schiavi e li considerate esseri inferiori, e non è colpa completamente vostra giacchè vi hanno insegnato che anche dopo la morte la loro anima resterà quella di uno schiavo.
No! Voi siete gli schiavi, anche nell’anima vostra, voi che vi abbrancate ai vostri beni come la tigna al grano!” e chiude ripetendo un’affermazione che ben conosciamo: “Solo il furto ha fatto nascere la proprietà privata”.
 

FUORI DAL BARATRO (IL MANIFESTO, 17/10/2009)

Dobbiamo ripeterlo, all'infinito. L'Italia che ha introdotto il reato d'immigrazione clandestina, l'allungamento della detenzione preventiva, che pratica i respingimenti azzerando il diritto d'asilo, è un paese sul baratro.
È in atto, ora e qui, una trasformazione violenta della nostra natura, un capovolgimento antropologico, una corruzione storica.
Ne viene modificata la ragione d’essere di un popolo, le basi costitutive delle convivenza tra gli uomini e la cancellazione insieme delle basi del diritto universale come del cuore solidaristico ed egualitario della nostra costituzione.
Una delle culture profonde e fin qui radicate che così rischiano di venir meno è quella dell’asilo, del soggiorno e dell’ospitalità, tradizione positiva di quella che chiamiamo “nostra civiltà”. Coi respingimenti e con le ronde che privatizzano e aizzano all’odio sulla sicurezza, tutti i giorni la civiltà è negata.
Negato quel diritto all’asilo che esisteva nelle chiese cristiane 2000 anni fa e che era parte costitutiva della realtà dei Comuni che garantivano la salvezza al fuggiasco e all’oppresso che si era liberato dal servaggio del vassallo.
“Sei salvo”, dicevano offrendo libertà e lavoro. Poi si dicono cristiani. Non sanno neanche cosa significhi. Perché il cristianesimo è accoglimento, la prima regola, il primo atto d’amore verso il cacciato. C’è una cosa che io recito in questi giorni con Franca su Ambrogio: sant’Ambrogio in un suo discorso che tiene ai parrocchiani ad un certo punto se la prende coi ricchi e dice: “Ricordati che quando sentirai bussare alla tua porta, mentre sei al tiepido e tranquillo al coperto, colui che viene a bussare è un uomo e quell’uomo si chiama Gesù”. Pensa un po’.
Di più. La cosa orrenda è che noi ormai siamo pronti ad accettare l’ospitalità solo se pagata bene. Se chi viene a chiedere ospitalità ha la possibilità di pagarci. Eppure nello scambio ineguale i miseri siano noi e l’arricchimento tra le culture sembra una favola affondata, colata a picco con la disperazione dei naufraghi dei barconi, dentro le apparenze-verità televisive. Ecco che crolla quella sensibilità minuta de vivere, patrimonio fin qui diffuso. Prima si diceva: nessuno riceverà solo un bicchier d’acqua se dirà ho sete alla nostra porta, noi daremo il vino. E’ un’espressione che c’è in Veneto, in Lombardia, in Piemonte, in Sicilia, dappertutto. Offriamo a chiunque, prima ancora che quello chieda. E oggi l’unica cosa che sappiamo dire, grazie alla destra di governo, al populismo razzista che alimenta, ma anche ai molti ritardi e silenzi di quella che ancora ci ostiniamo a chiamare sinistra è: vattene via.
Hanno diritto all’accoglienza perché hanno diritto a fuggire dalla guerra, dai regimi dittatoriali che noi spesso aiutiamo per le materie prime da sfruttare. E perché rifiutano la miseria e la fame. Lo dice l’Onu che c’è un miliardo di esseri umani ridotto a morire perché in assenza di cibo nelle periferie e baraccopoli  dei continenti depredati come l’Africa e l’Asia. E noi offriamo di caldo solo il razzismo che è l’anticamera, aperta, del fascismo.
Oggi in piazza e ogni giorno nella realtà quotidiana dobbiamo essere in tanti per fermare questa deriva, per gridare che i migranti siamo noi.

Dario Fo


"IL SANGUE E LA NEVE" di FELICE CAPPA, con OTTAVIA PICCOLO: DA VEDERE!

Cari amici,
spero di non risultare invadente, ma l’occasione è talmente importante che voglio correre il rischio.
Domani sera, giovedì 15 ottobre, alle 23.40 su Raidue va in onda il  film “Il sangue e la neve”, dedicato ad Anna Politkovskaja, che ho girato l’anno scorso in un cementificio abbandonato ad Alzano Lombardo, con Ottavia Piccolo come protagonista. I testi sono tratti da un memorandum che Stefano Massini ha elaborato a partire da articoli, interviste e brani autobiografici della giornalista russa.
Credo che l’opera e la vita di questa donna straordinaria si spieghi da sé, per cui non ho bisogno di aggiungere altro, sotanto segnalare che il lavoro fatto in sua memoria va finalmente in onda.
La vita della giornalista russa, che con estremo coraggio ha raccontato fino alla fine della Cecenia e della Russia di Putin, mi ha profondamente colpito.
La sua esistenza è stata segnata da una parabola che sembra disegnata da un tragico greco. L’epilogo scontato, senza possibilità di catarsi; una giornalista messa a tacere definitivamente con la violenza tramite cui si compie lo stupro di una democrazia che diventa di giorno in giorno più debole.
Ottavia Piccolo, più che interprete, si è fatta testimone per continuare a raccontarne la storia, affinché non si ripeta.
Il film è stato presentato al Festival del Cinema di Venezia e ha già avuto diverse anteprime in Italia, tutte segnate, da parte del pubblico, da commozione  unita ad indignazione, che mi hanno gratificato molto più del consenso di critica ricevuto e che mi hanno fatto cogliere il senso profondo di un lavoro come il mio, quando si riesce a farlo.
Mi fa piacere condividere questo con voi.
Felice Cappa


"IL SANGUE E LA NEVE" di FELICE CAPPA, con OTTAVIA PICCOLO: DA VEDERE!

Cari amici,
spero di non risultare invadente, ma l’occasione è talmente importante che voglio correre il rischio.
Domani sera, giovedì 15 ottobre, alle 23.40 su Raidue va in onda il  film “Il sangue e la neve”, dedicato ad Anna Politkovskaja, che ho girato l’anno scorso in un cementificio abbandonato ad Alzano Lombardo, con Ottavia Piccolo come protagonista. I testi sono tratti da un memorandum che Stefano Massini ha elaborato a partire da articoli, interviste e brani autobiografici della giornalista russa.
Credo che l’opera e la vita di questa donna straordinaria si spieghi da sé, per cui non ho bisogno di aggiungere altro, sotanto segnalare che il lavoro fatto in sua memoria va finalmente in onda.
La vita della giornalista russa, che con estremo coraggio ha raccontato fino alla fine della Cecenia e della Russia di Putin, mi ha profondamente colpito.
La sua esistenza è stata segnata da una parabola che sembra disegnata da un tragico greco. L’epilogo scontato, senza possibilità di catarsi; una giornalista messa a tacere definitivamente con la violenza tramite cui si compie lo stupro di una democrazia che diventa di giorno in giorno più debole.
Ottavia Piccolo, più che interprete, si è fatta testimone per continuare a raccontarne la storia, affinché non si ripeta.
Il film è stato presentato al Festival del Cinema di Venezia e ha già avuto diverse anteprime in Italia, tutte segnate, da parte del pubblico, da commozione  unita ad indignazione, che mi hanno gratificato molto più del consenso di critica ricevuto e che mi hanno fatto cogliere il senso profondo di un lavoro come il mio, quando si riesce a farlo.
Mi fa piacere condividere questo con voi.
Felice Cappa


NIENTE AULA SE PARLA DARIO FO: È BUFERA SUL RETTORE DELLA BICOCCA

Niente aula all´università Bicocca se a parlare di Alitalia c´è anche Dario Fo. Non è «competente». È questa la decisione presa dal rettore dell´ateneo, Marcello Fontanesi, che non ha concesso la sala U6 dove il 12 ottobre ci sarebbe dovuta essere la proiezione di "Tutti giù per aria. L´aereo di carta", il film documentario autoprodotto interamente dagli stessi ex lavoratori attraverso le molte riprese fatte nel 2008, durante i mesi di contestazione contro lo smembramento della ex compagnia di bandiera che ha lasciato senza lavoro 10mila dipendenti. Alla proiezione, aperta agli studenti e al pubblico, introdotta dal premio Nobel - Fo interviene anche da protagonista nel videoclip, così come è presente, con un pezzo inedito, l´attore Ascanio Celestini - sarebbe dovuto seguire un dibattito. Con giornalisti (Francesco Bonazzi de Il Fatto Quotidiano e Vittorio Malagutti de L´Espresso), politici (Franco Debenedetti e Bruno Tabacci), professori della Bicocca (Francesco Silva, Ugo Arrigo) e dell´Istituto Bruno Leoni (Andrea Giuricin), assieme agli autori e del film e ai lavoratori.

 

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Ma l´altro ieri Fontanesi ha detto no all´aula per mancanza di «competenza» di Dario Fo sulla questione Alitalia. «Ho ritenuto che il programma dell´incontro dal punto di vista scientifico e disciplinare non fosse adeguato alla nostra università - spiega il rettore della Bicocca - . Noi vogliamo che il livello delle informazioni offerto agli studenti abbia contenuti professionali di un certo rilievo. Fo è già venuto qui due o tre volte, sempre ben accolto, non c´è ostracismo né censura. Ma è venuto per parlare di altri argomenti. In questo caso si tratta di una questione tecnica molto delicata e credo che vada affrontata da persone che hanno competenze. Mi spiace che ci sia di mezzo lui, contro cui non ho nulla, ma devo tenere il timone in una certa direzione. L´università non è un luogo dove si fa polemica».
Esterrefatti i professori della Bicocca che si erano dati da fare per organizzare la proiezione-dibattito, increduli gli autori del docu-film, Alessandro Tartaglia Polcini, Guido Gazzoli, Francesco Staccioli e il regista Francesco Cordio. Stanno cercando un´altra aula, alla Statale o alla Camera del Lavoro, per mostrare anche a Milano il videoclip che verrà presentato alla stampa estera a Roma il 14 ottobre. Lapidario Dario Fo. «Questa del rettore è una posizione di bassa politica - dice - . Qualsiasi persona sensata può avere un bel parere da esplicitare sulla vicenda Alitalia in un dibattito, mica dovevamo parlare delle tecniche di volo o di decollo. Dovevamo parlare di tutto quello che la gente sa. E cioè che c´è stata una manovra per evitare che Alitalia venisse comperata dalla Francia e l´opportunismo politico di Berlusconi che ha preannunciato la possibilità di salvarla perché era "roba italiana". Poi l´intervento dei "nobili" della scalata, che hanno portato via denaro ai cittadini, dividendo Alitalia in due. La parte disastrata e piena di debiti è stata affibbiata di nuovo allo Stato, l´altra, quella che aveva del denaro, se la sono spartita».

Anna Cirillo  Espresso