Dario Fo per Gaber

lunedì 19 alle 20.30
Dario Fo al Festival Milano per Gaber,
ingresso gratuito fino a esaurimento posti.
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Si concluderà lunedì 19 novembre al Teatro Strehler la prima edizione di Milano per Giorgio Gaber, la rassegna che la città ha dedicato all’Artista scomparso.

Sul palco che per ultimo vide Giorgio Gaber esibirsi a Milano si alterneranno, in una serata a forte vocazione teatrale la cui regia è affidata a Giorgio Gallione, diversi giovani artisti del panorama musicale italiano insieme a molti altri personaggi dello spettacolo.

A condurre la serata Rossana Casale, già ospite del Festival teatro canzone Giorgio Gaber di Viareggio.

Renderanno omaggio alla figura e all’opera del Signor G l’amico di sempre Enzo Jannacci, il Premio Nobel Dario Fo, dal cui incontro con Gaber nacque Il mio amico Aldo, Gioele Dix, che, dopo la partecipazione al Festival Gaber di Viareggio, non poteva mancare al primo tributo che Milano riconosce all’artista, ed Eugenio Finardi, storicamente vicino a Gaber e esponente di quel filone di cantautori che emerse nella seconda metà degli anni ’70.

Immancabile la presenza di Flavio Oreglio, uno degli artisti più riconosciuti di teatro canzone contemporaneo, da sempre vicino e sensibile alle attività della Fondazione.

E ancora il pianista Giovanni Allevi, solo apparentemente lontano da Gaber ma che invece lui stesso considera uno dei padri del pensiero contemporaneo.

Tra i giovani anche Morgan, artista difficile da definire ed etichettare proprio come Gaber, che nel suo ultimo lavoro ha inserito una speciale versione di Non arrossire.

L’ingresso agli eventi di “Milano per Giorgio Gaber” è gratuito.


ZERO - inchiesta sull'11 settembre

Con Dario Fo il 16 Novembre presso l’aula magna del LICEO SCIENTIFICO “SEVERI” Bastioni di Porta Volta, n° 16 - MILANO sarà proiettato in anteprima nazionale il film "Zero - inchiesta sull'11 settembre" di Giulietto Chiesa, Franco Fracassi e Thomas Torelli. Presenti i registi.

Subito dopo: presentazione e dibattito del libro di Webster Griffin Tarpley "La Fabbrica del Terrore Made in USA
Origini e obiettivi dell’11 settembre"

(Arianna Editrice, Bologna 2007)

Il libro è un’indagine coraggiosa sul Terrorismo di Stato nell’era Globalizzata e sul ruolo attivo dei servizi segreti Anglo-Americani negli attentati attribuiti ad Al-Qaeda.


Non si paga! Non si paga!

Quando debuttammo nel 1974, la storia di questa commedia appariva piuttosto surreale: infatti raccontavamo di avvenimenti che non erano ancora accaduti. In sala il pubblico ascoltava molto perplesso, ci guardava come fossimo dei pazzi. Raccontavamo di donne che nella periferia di Milano, andando a fare la spesa, si ritrovavano con i costi aumentati a dismisura e, furenti, decidevano di pagare metà prezzo rispetto alla cifra imposta.

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Presi nel mucchio

ANSA sul processo per i fatti dell'11 marzo 2006
in Corso Buenos Aires a Milano

"I danni di quel giorno sono evidenti ma i colpevoli non sono stati presi. E' stato applicato un assioma sconvolgente secondo cui chi è presente è colpevole".

Il premio Nobel Dario Fo si è detto "sconvolto" per la decisione dei giudici di appello che oggi hanno confermato le condanne comminate in primo grado a 15 dei 18 imputati per devastazione e saccheggio in relazione alla manifestazione dei centri sociali milanesi dell'11 marzo 2006.

Per Fo, che ha seguito passo per passo la vicenda processuale dei protagonisti di quella manifestazione e che ha visionato tutto il materiale agli atti, "non esiste una sola immagine in cui in cui sia identificabile uno di quei ragazzi mentre commette un reato. Semmai erano sul posto, come mille altre persone".

"Non si può sparare nel mucchio - ha concluso il premio Nobel per la letteratura - se ci sono dei colpevoli li trovino, ma non sono certo quelli condannati oggi. I ragazzi sono in carcere senza prove, gran parte di loro non ha fatto nulla, si è trovata nel mucchio. Questa è giustizia di classe e tanta severità si spiega solo con la volontà di castigare chi manifesta».


Truffa a Nobel Disabili: ex collaboratore condannato a 2 anni e mezzo

12 Novembre 2007

Due anni e sei mesi di reclusione e un risarcimento in via provvisionale di 200 mila euro: è questa la condanna decisa dal Tribunale di Milano per Luciano Silva, ex collaboratore di Dario Fo e Franca Rame che sottrasse 400 mila euro al 'Comitato per i disabilì creato con i fondi che Fo aveva ricevuto quando vinse il premio Nobel. Silva è stato riconosciuto colpevole di truffa e falso in scrittura privata.
Rubò 400mila euro: ex assistente di Fo condannato a 2 anni (Corriere della Sera)
Trenta mesi ad ex collaboratore di Fo (Cronacaqui)
Si intascò i soldi destinati ai disabili. Due anni e mezzo al consulente di Fo (Epolis Milano copertina  - articolo)
Ex collaboratore di Dario Fo condannato per truffa (Giornale di Sicilia)
Fo truffato, due anni e mezzo a ex collaboratore (Il Giorno)
Truffò Dario, condannato (La Prealpina)
Truffa al Premio Nobel Fo: 2 anni all'ex collaboratore (Leggo Milano)


DARIO FO SETTIMO TRA I 100 'GENI VIVENTI'

LONDRA

Dario Fo è l'unico italiano che compare nella hit parade dei 100 geni viventi, compilata da sei esperti di creatività sulla base anche di un sondaggio tra i sudditi di Sua Maestà.
La classifica, riportata oggi dal Daily Telegraph, vede al primo posto Albert Hofmann, 101 anni, il chimico svizzero che ha scoperto la sostanza stupefacente Lsd. A seguire, Sir Timothy Berners-Lee, 52, l'inventore della rete World wide web; George Soros, 77, il politico e il mago della finanza americano; Matt Groening, 53, l'uomo che ha dato vita ai cartoni animati Simpson e Futurama; Nelson Mandela,89, il presidente del Sud Africa a pari merito con Frederick Sanger, 89, il biochimico stra-premiato per i suoi lavori sulla sequenza del Dna. Al settimo posto l'unico genio italiano, secondo la hit parade britannica: il premio Nobel per la letteratura Dario Fo, ottantunenne. Tra i cervelli migliori del mondo, spiccano anche nomi del tutto inaspettati: Osama Bin Laden si contende il 43esimo posto con il presidente della Microsoft Bill Gates, il pugile Mohamed Alì e lo scrittore Philip Roth; mentre il Dalai Lama occupa il 26esimo posto e il cantante lirico spagnolo Placido Domingo il 58esimo.
La classifica è molto varia perché annovera personaggi che si occupano di scienza, tecnologia, finanza e arti. Tra quest'ultimi, il musicista Brian Eno (15esimo), il cantante Stevie Wonder e l'attrice Meryl Streep (entrambi 49esimi), il britannico Paul McCartney (58esimo) e l'americana Aretha Franklin (67esima). All'ultimo e centesimo posto compare il regista Quentin Tarantino. La top 100 è stata realizzata da Creators Synectics, una società britannica, che ha compiuto la selezione servendosi di un sondaggio e tenendo conto di una serie di fattori: popolarità, cultura, potere intellettuale, realizzazione professionale e 'paradigm shifting' (capacità di impatto e innovazione in un determinato settore).

Fonte: Ansa.it

Altri articoli sull'argomento - Rassegna stampa

Articolo da l'Unita

Articolo Il Resto del Carlino

Articolo La Gazzetta del Mezzogiorno

Articolo La Provincia di Como


Emilio Tadini, da poeta a pittore

Ho scoperto che Emilio, quasi di nascosto, disegnava durante un convegno sulla città di Milano. Mi ricordo che eravamo stati invitati entrambi a tenere un commentario a proposito della struttura urbanistica e di come si fossero sviluppati l’assetto e il clima ambientale nonché culturale della nostra città nei secoli, dal Medioevo al Rinascimento per risalire ai giorni nostri.
Quell’incontro si svolgeva alla fine degli anni Cinquanta, in un salone del Circolo della Stampa.
Ho pensato a prima vista che Emilio stesse scarabocchiando figurine per distrarsi dalla pallosità di certi interventi assolutamente privi di interesse.
In quell’occasione a me toccò di parlare prima di lui. L’argomento che avevo scelto faceva parte di un’inchiesta condotta al tempo in cui frequentavo ancora Architettura al Politecnico di Milano; trattava del sistema delle fognature impiantato dai romani al tempo della Repubblica e poi sviluppatosi con i Comuni. Allora i canali dell’acqua dolza e netta erano ben distinti e rigorosamente tenuti separati nella loro corsa dalle cloache fognarie. Raccontai di alcuni interventi molto severi effettuati dai Maestri-Giudici delle Acque contro un gruppo di grossolani imprenditori della lana, che, all’inizio del Duecento, coi loro scarichi di tintoria avevano intorbato fiumi e canali; giocai satireggiando sul processo e sulle condanne davvero spietate inflitte a quei cialtroni e paragonai il tutto all’indifferenza e all’ignavia degli attuali amministratori.
Emilio smise un attimo di scarabocchiare sul suo foglio, scoppiò in una risata contrappuntata da un applauso quindi tornò a concentrarsi sui suoi ghirigori.
Il conduttore della serata, appresso lo invitò a tenere il suo discorso.
Nel levarsi in piedi per recarsi al microfono, a Emilio caddero alcuni fogli sui quali stava pasticciando sghiribizzi. Li raccolsi e mi resi conto che non si trattava affatto di scarabocchi ma di veri e propri disegni espressi con forza e mestiere. Soprattutto non c’era nulla di approssimativo o dilettantesco. Sembravano appunti ispirati a Bosch e Mirò messi insieme. Con quegli schizzi Emilio aveva improntato la struttura di un palazzo visto a volo d’uccello con personaggi che si muovevano senza peso dentro e fuori la costruzione.
Ad alta voce mi scappò detto: “Ma che è, il pittore misterioso? Perché non me ne ha mai parlato?”.
Emilio e io ci conoscevamo fin da ragazzi: appena finita la guerra avevamo viaggiato insieme per tutta l’Italia; insieme ci eravamo trovati a Parigi dove passavamo da un museo all’altro, scarpinavamo per tutta la città di giorno e di notte, commentavamo le emozioni provate discutendo di ogni cosa, di pittura, di poesia, di lettere.
Avevo illustrato per Emilio alcune sue liriche dal ritmo assolutamente insolito che Einaudi era in procinto di pubblicare.
Eravamo alla scoperta di tutto e vivevamo ogni variante come una rivelazione. Si erano sorpassati appena i vent’anni; Emilio possedeva oltre che un gran talento di scrittore, una dote che invidiavo: l’ironia mista alla conoscenza.
Spesso, vedendolo navigare dentro i testi appena stampati che ci facevano scoprire gli scrittori dell’Europa e degli Stati Uniti seppelliti dalla guerra, lo assillavo con dubbi e quesiti allo scopo di trarne da lui lezione.
Dovrò ringraziarlo senza sosta per tutte le dritte che mi ha elargito in quegli anni. Per merito suo ho scoperto la poesia di Baudelaire e gli scritti di Rousseau, nonché pensieri e iperbole di filosofi e polemisti a me sconosciuti della letteratura contemporanea d’Europa.
Non avevo indovinato però, né sospettato del perché preferisse accompagnarsi a noi pittori e scultori piuttosto che ai letterati.
Lo capii soltanto l’anno appresso, quando mi accompagnò al vernissage di una mostra dove per la prima volta esponeva un buon numero di suoi dipinti. Fino ad allora aveva immancabilmente scantonato, perfino evitando che gli si andasse a far visita soprattutto nello studio che da poco aveva aperto presso casa. In quel salone mi trovai all’istante davanti a dipinti di buona dimensione, intorno al metro per settanta, qualcuno superava i due e anche tre metri di base. Con me c’erano Alik Cavaliere e Luigi Parzini, un pittore di Novara. Quest’ultimo esplose in una bestemmia: “Porco…! Ma quando e dove li ha dipinti? E perché fa l’imboscato? Guarda tu, come stende la pittura… un dilettante lo scopri subito per la maniera in cui impasta i colori sporcandoli e sbiacicandoli senza rigore. Questo figlio di buona donna fa le basi a pennellata corta poi stende velature, colora di punta e schiaccia le terre d’ombra come si fa in affresco!”.
A mia volta commentai: “E’ uno che ha imparato ad avere molto rispetto per questo mestiere: prima imparare, poi fare!”.
Ancora, apparivano sul fondale della tela pupazzi che si agitavano senza muoversi, altri fuggivano senza spavento, altri ancora stavano seduti, come in “En attendant Godot”, ad aspettare qualcuno che non sarebbe mai arrivato. A primo acchito potevano sembrare dipinti esclusivamente decorativi ma dopo pochi attimi t’accorgevi che su quelle tele galleggiava un’angoscia incontenibile: quei burattini senza peso respiravano e tenevano occhi smarriti… tutto ritmato da una danza senza alcuna festosità.
Certo che scoprire un pittore di quel valore, così, all’istante e senza preavviso, aveva tutta l’aria di una messa in scena assurda o di un prodigio. Quando poi pensavo che Emilio era riuscito a impossessarsi di tecnica, trucchi e magia seduto nelle aule dell’Accademia o girandoci intorno mentre si pitturava su tele o muri affrescando, mi dicevo: “Questo poteva succedere solo a Brera.”.
In quegli anni, a Brera, l’Accademia era veramente una scuola aperta, anzi spalancata, a chicchessia purché dimostrasse di muoversi con serietà ed entusiasmo. I maestri dell’immediato Dopoguerra erano davvero eccezionali sia di qualità che di fama: Carrà, Funi, Carpi, Manzù. Inoltre circolavano dentro e fuori i cortili dell’Accademia Marini, Martini, Sironi, Casorati… insomma tutti i più grandi artisti del tempo. Erano uomini di straordinaria generosità; spesso e volentieri parlavano e discutevano con noi ragazzi con indicibile amabilità.
Le lezioni d’arte e di vita non si dispensavano solo nelle aule, ma ancor più nei bar, nelle osterie e sulle panchine dei parchi intorno. Noi di solito si ascoltava in rispettoso silenzio, ma poi si interveniva proiettando paradossi e iperbole che divertivano i nostri maestri, quelli dell’Accademia e gli occasionali. Ogni tanto quella confidenza ci prendeva la mano e si azzardavano discorsi che creavano rigetto e sdegno, ma non è mai successo di veder qualcuno di quei docenti andarsene seccato, anzi spesso rispondevano a rilancio caricando il paradosso scostumato con altrettanta moneta, così che a nostra volta ci trovavamo con le idee ribaltate e sconnesse.
Le aule erano vissute da un numero strabordante d’allievi che si muovevano liberamente da uno studio all’altro partecipando a lezioni fuori programma. Personalmente, mi era stato permesso di frequentare corsi di scultura o scenografia ai quali non ero iscritto. Di questo privilegio aveva goduto anche Emilio, che all’Accademia era una specie di infiltrato abusivo, ma la simpatia e la stima che suscitava in ognuno, a partire proprio dai professori, gli valeva più di qualsiasi lasciapassare. Emilio possedeva un’ineguagliabile memoria per ogni cosa, e come dicevamo poc’anzi, di certo a Brera ha imparato solo osservando il dipingere e lo scolpire di maestri e allievi ma poi si teneva nascosto e fuori campo mentre si preparava a diventare un pittore di professione.
Come in tutte le comunità di studio, anche in quell’Accademia si formavano gruppi di ragazzi e ragazze con interessi analoghi ma non si proponevano mai come circoli chiusi, tant’è che come accade in certi fenomeni chimici, spesso movimenti diversi si mescolavano uno all’altro aprendosi anche a ragazzi che provenivano da altre situazioni come gli attori del Piccolo, studenti d’architettura, di lettere e giovani sceneggiatori e registi del cinema provenienti da Roma e da altre città.
Brera, negli anni Cinquanta e Sessanta, era diventata il più importante crogiolo culturale non solo d’Italia ma addirittura d’Europa tant’è che moltissimi artisti stranieri di diverse età scendevano a Milano per vivere e studiare questo straordinario fenomeno.
A Brera ci sono ritornato in più occasioni, specie negli anni della contestazione giovanile. Molti miei compagni d’Accademia erano diventati maestri di pittura, incisione, scultura e scenografia. Ho tenuto anche qualche lezione ma soprattutto mi sono esibito come attore e maestro della messa in scena nelle aule e nel quadriportico centrale.
Spesso Emilio, che nel frattempo era stato nominato Presidente dell’Accademia, mi sollecitava a tenere lezione nell’aula grande.
Negli intervalli o al termine dell’incontro mi capitava di parlare lungamente con lui e con gli altri vecchi compagni. Il tema era immancabilmente il confronto e la differenza fra gli anni del Dopoguerra e quelli che stavamo vivendo. Nell’analisi generale e attraverso le testimonianze di ognuno, scoprivamo che la felice condizione di un tempo si era completamente deteriorata. I gruppi di ragazzi, per non parlare degli artisti già formati, apparivano ora sempre più chiusi ed isolati, soprattutto ognuno coltivava egoisticamente il proprio orto delle opportunità e della carriera, si diventava maestri, o meglio professori, non per vocazione all’insegnamento ma in particolare per lo stipendio che poteva sistemarti definitivamente.
Non è per rimembrare il “ti ricordi nel tempo addietro…” come dice una vecchia canzone popolare, ma davvero è sparito il senso del legame d’intenti e della collettività.
Nel Dopoguerra ci si univa e ci si cercava anche fra opposti per crescere, oggi ci si restringe come in un brodo consommé. Si finge di stare insieme solo intasando i caffé in un’ammucchiata di vociare negli aperitivi e poi t’accorgi di non ricordare nemmeno con chi hai parlato o discusso, e nemmeno ti ricordi quello che hai detto o ascoltato. Ecco perché non si dipingono più figure, uomini e donne, che s’abbracciano e vivono insieme.
L’amore non è più qualcosa da spandere intorno come in una festa, è un sentimento del tutto privato, personale di cui si può parlare ma in terza persona… Capita ad altri.
In un mondo pieno di fari e luci ma sempre più spento.
Dario Fo