BERLUSCONI AMA BARACK

Dunque Obama ha vinto. Mancava solo lui per formar il quartetto perfetto dell’impossibile; parliamo dei campioni neri che vincono le gare riservate da sempre ai soli bianchi: un nero per la prima volta vince il campionato mondiale di tennis e un altro quello di golf; un terzo, un certo Hamilton, si porta a casa il trofeo della Formula 1; e adesso, per finire, Barack della tribù Keniota diventa addirittura il primo Presidente nero d’America. Non c’è più religione!
Forse, come succede sempre quando ci si ritrova appresso a un evento straordinario troppo grande, non ci riesce di inquadrarne il valore e la dimensione.
Se ci pensi, c’è proprio da non crederci: un uomo di colore eletto Presidente della più potente nazione del mondo che fino ad un secolo e mezzo fa teneva gli schiavi alle catene e applicava l’apartheid, e permetteva che una banda di criminali, il Ku Klux Klan, facesse stragi di negri e li mandasse al rogo su una croce di fuoco. Ed ecco che in un batter di ciglio tutto si rovescia: agli ex schiavi si concede la cittadinanza e addirittura il diritto allo studio e al lavoro remunerato.
Certo, ogni tanto se ne lincia qualcuno: uno o due pastori protestanti vengono sparati, ma succede di scorgere neri che insegnano all’università, neri che dirigono e operano in cliniche e ospedali. Sindaci neri, per non parlare dei poliziotti e giocatori di baseball e basket. L’esercito USA è ormai composto in massima parte da ispanici e colorati, dove perfino i comandanti sono neri. Forse i bianchi amano sempre meno la patria?
D’accordo, le regioni del Sud e le periferie delle metropoli pullulano ancora di poveracci di colore. New Orleans, una città famosa per le sue bande di jazz, abitata da una popolazione di soli schiavi redenti è stata spazzata via da Kathrina, un uragano previsto e annunciato, ma nessuno s’era preoccupato di intervenire per tentare di limitare il disastro: tutto il territorio sott’acqua, le uniche cose che galleggiavano erano barchette di fortuna e cadaveri di animali e uomini annegati.
Qualche anni fa, quando quel ragazzo di colore, certo Barack Hussein Obama, smilzo e dall’aria troppo mite si presentava alle elezioni dello Stato dell’Illinois, nessuno ci aveva fatto caso: parlava alla gente casa per casa, si prendeva cura dei senzatetto e degli emarginati. Era avvocato, plurilaureato ad Harvard, era perfino docente universitario, ma nessuno ci avrebbe scommesso tre centesimi. E invece riesce a farsi eleggere Senatore…Va beh, uno su più di 400 si può accettare.
Dopo qualche anno, altre votazioni e il negretto dal nome scomodo – Barack significa “benedetto da Dio” e ricorda quello di Osama Bin Laden, il re dei terroristi – riesce a farsi eleggere un’altra volta senatore… Va beh, si comincia a esagerare, ma lasciamo correre. Due anni fa ‘sto Obama si presenta addirittura alle primarie per le presidenzali… Ahahah... Guarda che ce ne sono dei pazzi in giro! Dove si procura i dollari a milioni che servono per pagarsi un minimo di propaganda?
E lui, il negretto, che fa? S’attacca ai computer… anzi, prima ancora cerca dappertutto volontari che lo aiutino, poi, alé, tutti collegati alla rete… chi ci avrebbe mai pensato? Riesce a raggiungere e coinvolgere migliaia, anzi milioni di sostenitori: “Datemi un dollaro, per favore”. Pronti, eccoli, anche due, fino a quattro, cinque a testa… è una valanga: supera addirittura il battage della Clinton e anche quello del sostituto di Bush. E’ un demonio!
Qui l’avvocato professore di Harvard comincia a preoccupare la concorrenza e allora si mette in atto la tecnica dello sputtanamento: si cerca di sparargli addosso calunnie, maldicenze, ma non funziona.
Il resto lo sapete tutti: riesce a farsi scegliere come unico rappresentante del partito democratico, riesce a far fuori anche la Clinton, e alla fine vince.
È straordinario come da noi in Italia, appena s’è profilata la possibilità di una netta vittoria dell’africano, in massa i sostenitori si siano fatti avanti da tutte le parti, anche da destra! Perfino fasci di antica data… a parte qualche ritardato cronico tipo Gasparri che ha tranquillamente dichiarato: “Della elezione di Obama sarà contenta soprattutto… Al Qaeda”. Poi, scozzonato anche dai suoi camerati, ha cercato di rimediare in modo a dir poco pietoso.
Naturalmente anche Berlusconi è già pronto a saltare sul carro del vincitore: “Io mi sono trovato bene con Bush – assicura - ma certamente mi troverò egualmente bene con Obama”… tant’è vero che il nostro ha già cominciato a stendersi sulla faccia un fondotinta molto più scuro… e forse si farà i capelli appena cresciuti tutti crespi… Insomma, per il nostro Silvio il mondo cambia ma lui non se ne accorge: un presidente vale l’altro, e ribadisce: “Con tutti ci si può adattare: basta un sorriso, una manata sulla spalla, un regalino…. Un rolex tutto d’oro! I negri, si sa, da sempre vanno pazzi per le cose che luccicano... E l’affare è fatto”.
Ed è tanto convinto di poter conquistare l’amicizia e la simpatia del moretto che ha esclamato davanti alle telecamere: “Naturalmente, giacché sono più anziano di lui e ho molta più esperienza gli darò qualche buon consiglio!” Oddio, quale consiglio? Mi sembra di sentirlo…
BERLUSCONI: Caro Barack dammi retta, fai come ho fatto io col mio Governo in Italia: fatti subito un paio di leggi a tuo completo vantaggio.
OBAMA: Che leggi?
BERLUSCONI: Tanto per cominciare quella sul conflitto d’interessi.
OBAMA: Ma ne abbiamo già una nel nostro ordinamento molto valida, che dice: nessun cittadino americano può candidarsi ad una carica politica se si trova ad essere proprietario di mezzi di informazione, quali giornali o televisioni.
BERLUSCONI: Scusa - incalza il Berlusconi – mi sono male espresso… a proposito del conflitto di interessi, dicevo che quella legga bisogna abolirla…
OBAMA: Non si può! È una legge fondamentale del nostro ordinamento politico!
BERLUSCONI: Ma chi se ne frega degli ordinamenti! Dammi retta: se mi consenti… quella è una legge che bisogna bloccare… distruggerla, sbatterla fuori da ogni ordinamento.
OBAMA: No, il conflitto di interessi è un perno inamovibile, tant’è vero che ultimamente un candidato molto forte, che proprio qui a New York gestiva una rete televisiva di informazione è stato costretto a liberarsene vendendola a terzi.
BERLUSCONI: La conosco la tecnica! Si prende l’impresa in questione e la si ammolla ad un fratello, come ho fatto io, o a parenti prossimi, e tutto è a posto.
OBAMA: No! Qui da noi se ti fai scoprire a condurre un gioco del genere, ti sbattono sotto processo e quindi in galera.
BERLUSCONI: Eh, ma come siete rimasti indietro! Siete ancora al tempo delle leggi per fregare Al Capone, perdìo! Beh, lasciamo correre il conflitto di interessi. Imponi almeno una legge sull’immunità.
OBAMA: E che sarebbe?
BERLUSCONI: Si tratta di bloccare tutti i processi contro le quattro più alte cariche dello Stato.
OBAMA: E con che motivazione?
BERLUSCONI: Ma, dico, sei proprio all’oscuro di tutto! Si tratta del cosiddetto lodo Schifani, detto volgarmente Schifezza, col quale si possono sospendere tutti i processi legali contro, appunto, me, i due presidenti di Camera e Senato che stanno con me e il presidente della Repubblica di cui non posso far commenti.
OBAMA: Ma per carità, non se ne parli nemmeno! Da noi la Costituzione dice che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge.
BERLUSCONI: Ma anche da noi, che discorsi! – sghignazza – Anche da noi la televisione… pardon, voglio dire la Costituzione, dice la stessa cosa, ma è questione di interpretarla! Noi italiani siamo bravissimi a interpretare tutto, siamo i più elastici politici del mondo! D’accordo, ma almeno sulla emigrazione, volete o no mettere una legge che vi salvi?
OBAMA: In che senso ci salvi?
BERLUSCONI: Andiamo, il mio amico Bush è stato costretto a metter su un muro al confine con il Messico per arginare l’invasione degli ispanici!
OBAMA: Sì, è vero, quello dell’immigrazione è un problema che dovrò affrontare, ma non costruendo altri muri.
BERLUSCONI: E fai come abbiamo fatto noi, con i rom!
OBAMA: E chi sono i rom?
BERLUSCONI: Sono zingari, senza mestiere, che rubacchiano, specie i ragazzini. E allora gli prendiamo le impronte digitali.
OBAMA: Prendete le impronte digitali ai ragazzini?
BERLUSCONI: Eh sì, vanno intorno dappertutto a chiedere l’elemosina, rubano le borse alle vecchiette, e quando li acchiappi li puoi trattenere al massimo per un paio d’ore e sono subito fuori.
OBAMA: Scusa, ma io ho sentito dire che questi zingari vivono in campi veramente disastrati, senza servizi, un po’ a livello di profughi, eppure sono cittadini europei!
BERLUSCONI: Eh, questo è un disastro! Se fossero neri dell’Africa non ci sarebbero problemi.
OBAMA: Ah, bene! Anch’io sono nero dell’Africa!
BERLUSCONI: Scusa, ma non intendevo… anzi, mi hai frainteso, io ho grande rispetto per la gente di colore… soprattutto per i capelli, dei neri: che belli! Fitti, solidi, non cadono mai! Mai visto un nero calvo!
Ma insomma, almeno un consiglio fattelo dare: c’è la legge che noi abbiamo imposto per bloccare i processi. Quella dei dieci anni…
OBAMA: Sì, la conosco.
BERLUSCONI: Come la conosci?
OBAMA: Non dimenticare che sono avvocato, e qualche informazione internazionale la devo pur prendere. Se mi permetti, è una schifezza come tutte le altre che avete fatto passare, per non parlare poi del gioco di mandare tutto in prescrizione. Sbaglio, o tu di 10 processi che dovevi sostenere, non ne hai portato a termine neanche uno… li hai fatti cadere tutti in prescrizione, appunto.
BERLUSCONI: Ma è legale!
OBAMA: Certo, voi siete così elastici, quindi in grado di allungare, stendere, rimandare… siete degli autentici tirasassi!
BERLUSCONI: Ehi, Obama, andiamo piano con le parole! Non dimenticare che sono un presidente, che faccio parte del G8, sono un possidente ricco sfondato, ho tre televisioni mie più tre di stato, ho giornali, pubblicità e ho pure un sacco di donne, anche ministre, e soprattutto…. sono bianco, ricordatelo, morettino!


Intervista a Dario sulla crisi finanziaria

Debutta al Teatro Valle di Roma lo spettacolo "Sotto paga! Non si paga!", scritto 30 anni fa da Dario Fo, ma al solito straordinariamente attuale. In premio Nobel parla della  crisi economica mondiale senza risparmiare critiche ai nostri politici. Il libro è in vendita su Commercioetico.it

Categoria Video Buone Notizie
Temi: Premio Nobel, economia, attualità, Berlusconi, Berlinguer


Morte accidentale del teatro.

Sono finiti i tempi in cui gli spettacoli venivano mandati in onda in televisione. Ma, secondo il Nobel, la colpa non è tanto della tv quanto delle opere di oggi, che non hanno più valore né impegno.

“Il teatro non va in televisione perché ha perso grinta e valore” Intervistando Dario Fo – più volte censurato dal piccolo schermo perché diceva e faceva cose “sconvenienti”, almeno per chi allora decideva la programmazione – sul perché questo non trasmettere quasi più opere teatrali, ci si poteva spettare un attacco alla Tv. Invece il premio Nobel ci stupisce, ancora una volta, con una critica più alla radice.

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Il gioco dei Casalesi: stasera tiro al negro

Spedizioni punitive e raid

La fuga di Teddy, il nigeriano che vuole salvare le prostitute

CASTELVOLTURNO (Caserta)- Teddy è andato via perché adesso sa cosa significa essere una boccetta. «Vogliono la tua sottomissione, gli interessa solo questo. Abbiamo provato a renderci utili. Ma a loro non interessa. Siamo schiavi, e tali dobbiamo rimanere». In un'intercettazione di 12 anni fa, uno dei tanti macellai dei Casalesi saluta il suo compare. Lo saluta dicendo che in serata magari se ne va a Castelvolturno «per giocare a boccette con i negri». Poche ore dopo, da una macchina in corsa parte una raffica di mitra contro tre extracomunitari che aspettavano l'autobus sulla Domiziana. «Siamo i loro giocattoli, ma fanno così perché sanno che agli altri italiani in fondo non dispiace ».

Il 19 agosto di quest'anno il nigeriano Teddy Egonwman e sua moglie Alice sono diventati birilli a casa loro. All'ora di cena un gruppo di quattro uomini si mise a sparare sulle finestre del container dove vivevano, ne sfondò la porta e continuò a fare fuoco anche dentro. Un'ottantina di colpi. Due giorni dopo, Teddy e la sua famiglia erano su una macchina diretta a Torino. Così finiscono le illusioni, da queste parti. I coniugi Egonwman si erano messi in testa di fare qualcosa. In modo confuso, arruffato, pasticcione. Ma ci avevano provato. Erano arrivati in Italia da clandestini, come tutti. Teddy trovò lavoro e permesso di soggiorno in un'azienda edile, Alice si buttò nell'import- export di oggetti africani. Lui fondò un'associazione per raccogliere tutti gli immigrati provenienti da Benin City. L'anno scorso aveva deciso di redimere le sue connazionali che lavorano in strada. Faceva addirittura le ronde, non risparmiava qualche schiaffone, alle ragazze a ai loro galoppini. «Non avevano capito che nulla deve e può cambiare. I "miei" e i "tuoi" non vogliono seccature».

A Castelvolturno Teddy era un personaggio così isolato da risultare addirittura patetico nei suoi sforzi. La spedizione punitiva fu bipartisan, nigeriani e casalesi d'accordo nel dare una lezione a un pesce piccolo che veniva considerato un traditore del suo popolo e metteva in crisi il patto tra mafiosi africani e Casalesi. «Volevo dare il mio contributo per liberare la Domiziana dalla prostituzione. Mi hanno urlato che ero un venduto alla Polizia. Mi hanno sparato. Nessun italiano mi ha dato solidarietà, perché un negro che cerca di darsi da fare deve avere per forza qualcosa di storto, no? Tanti saluti, allora». Quelli che restano però rischiano davvero di diventare boccette a disposizione di giocatori anfetaminici e fuori controllo, schiacciati da due poteri simili e alleati nel tenere oppressi i pochi che si muovono sulla linea di confine. «Le uniche vere comunità che ancora esistono sul territorio sono quelle criminali», ragiona un investigatore e le sue parole sono simili a quelle di padre Giorgio Poletto, il prete comboniano che da anni cerca di togliere le ragazze nigeriane dalla strada. «Non è mai stato così difficile. Abbiamo davanti un mare di persone anonime, con rappresentanti che sanno di non rappresentare nulla. La frammentazione li rende più deboli. Sono soltanto individui, alla mercé di un sistema criminale perfetto nella gestione del territorio. In una parola: schiavi».

La strage di Varcaturo rappresenta il disprezzo per i più deboli, quelli che si trovano in mezzo. Il simbolo di questa violenza «terrorista e razzista», come la definisce il magistrato Franco Roberti. La Spoon river delle vittime racconta di gente molto diversa dal prototipo dello spacciatore. Francis era felice perché due settimane fa aveva avuto il riconoscimento dello status di rifugiato politico, dopo sei anni in Italia. Faceva il muratore e frequentava le associazioni di Caserta che si battono per i diritti degli immigrati. Elaj il sarto partecipava alle assemblee settimanali sui diritti degli immigrati, anche lui frequentava i centri sociali impegnati. Akej il barbiere è morto con 700 euro nei calzini. Stava andando a spedirli alla famiglia da quella sorta di Western Union non autorizzata che sorge accanto al locale della strage. Lavorava a Napoli, in un locale del centro. Nei locali devastati dai proiettili e nelle loro case delle sei vittime non è stata trovata droga. Puliti.

Marco Imarisio
21 settembre 2008

http://www.corriere.it


“Mai più” – In corteo a Milano per Abba contro il razzismo

La famiglia di Abdul, Abba per tutti gli amici, non di dà per vinta, ma non capisce. Non capisce perché Milano abbia solo cercato di assolversi, di rifiutare la verità, di allontanare l’accusa di razzismo e persino di annacquare la violenza gratuita e folle di sei colpi di spranga calati sulla testa di un ragazzo caduto a terra. Perché dopo il cordoglio, nessuna istituzione ha detto “mai più”. Mai più un ragazzo di 19 anni sprangato a morte. Mai più. Eppure il punto è questo. Non altro.

[continua]

articolo Liberazione