Mario Pirovano in Mistero Buffo di Dario Fo
13 febbraio 2009 ore 21.00
Teatro Creberg, via Pizzo della Presolana (BERGAMO)
Mario Pirovano in Mistero Buffo di Dario Fo
LO SPETTACOLO CHE HA SEGNATO IL TEATRO DEL NOVECENTO
La fame, il potere, l’ingiustizia, l’innocenza raccontati attraverso una comicità straripante, che non perde mai di vista la tradizione né l’attualità.
I Vangeli raccontati come mai prima d’ora.
Mario Pirovano si esibisce nello spettacolo più famoso di Dario Fo, uno straordinario impasto comico-drammatico ormai considerato un classico del '900.
La ricchezza del testo e le capacità istrioniche di Mario Pirovano riescono a trasportarci nella dimensione delle farse medievali provocatorie e dissacranti, e nella comicità viva della Commedia dell'Arte.
Le quattro giullarate che l'attore ci presenta, sono tra le più appassionanti del "Mistero Buffo":
"La fame dello Zanni" racconta la storia di una fame atavica attraverso sproloqui e contorsioni da funambolo.
"La Resurrezione di Lazzaro" è la descrizione parodistica del miracolo più popolare del Nuovo Testamento, vissuto come grande happening del tempo.
"Il Primo Miracolo di Gesù Bambino" costituisce il poetico racconto tratto dai Vangeli apocrifi: come il piccolo Jesus, che fa volare gli uccellini di argilla fatti dai compagni, reagisce alla prepotenza di chi glieli distrugge.
"Bonifacio VIII" ci presenta il Pontefice prima nella magnificenza della sua vestizione, poi nel suo incontro-scontro con Gesù. Classico anacronismo medioevale, teso a sottolineare l'immensa differenza tra i due.
In questa pièce Pirovano realizza uno spettacolo dal sapore beffardo e profetico che, attraverso il genio di Dario Fo, ci ricollega alla tradizione del teatro popolare risalente al Medio Evo, È stato Dario Fo a raccogliere per anni documenti di teatro popolare di varie regioni italiane ed a ricostruirli in uno spettacolo omogeneo in cui le capacità mimiche dell'attore sono il mezzo principale dell'espressione teatrale.
L'Accademia di Svezia, conferendo il Premio Nobel per la Letteratura a Dario Fo nel 1997, così motivava la sua scelta: "A Dario Fo... che nella tradizione dei giullari medievali fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati. (...) Se c'è qualcuno che merita l'epiteto di giullare, nel vero senso della parola, questo è lui. Il misto di risa e serietà è il suo strumento per risvegliare le coscienze sugli abusi e le ingiustizie della vita sociale.(...) La tradizione non-istituzionale gioca un ruolo determinante nel teatro di Fo. Spesso fa riferimento ai giullari (joculatores) medievali, alla loro comicità e ai loro misteri. L'opera centrale "Mistero buffo" del 1969 si basa su vecchie fonti interpretate da Fo nella sua chiave personale.”
IL NUOVO CORRIERE ARETINO Novembre 2008
Straordinaria è anche l’interpretazione di Mario Pirovano che su un palcoscenico vuoto crea scenografie mirabili e che, pur dovendosi confrontare con modelli davvero impegnativi come Fo, regge eccellentemente il confronto con note che rendono del tutto personale ed emozionante, oltre che divertente, la sua interpretazione. FRANCESCA PASQUINI
Aprile 2008
Mario Pirovano è riuscito a creare senza il supporto di alcuno scenario né musica due ore di autentico teatro, grazie alla sua forza di grande affabulatore legato al passato, attento al presente e con un occhio verso il futuro. ANNA VALLARINO
La Nuova Ferrara 28 Febbraio 2006
Il modo di fare teatro di Pirovano, lontano dalla concezione classica ma molto vicino alla capacità di improvvisare sul testo, lo pone nel panorama teatrale italiano tra i più grandi e capaci attori di narrazione. VINCENZO IANNUZZO
Biglietti
I settore € 25.00 + diritto di prevendita
II settore € 20.00 + diritto di prevendita
III settore € 15.00 + diritto di prevendita
Nei punti vendita TICKETONE e Sportelli del CREDITO BERGAMASCO, a fronte del servizio offerto, il diritto di prevendita (del 10%) viene maggiorato di € 1,50.
Creberg Teatro Bergamo:
Via Pizzo della Presolana – Bergamo - Tel. 035 34.32.51
http://www.crebergteatro.it
Biglietteria Teatro:
da mar. a sab. dalle ore 11.00 alle ore 18.00
e dom. dalle 11.00 alle 13.00
Biglietteria Teatro Donizetti
Piazza Cavour, 15 – Bergamo - Tel. 035 41.60.611
Credito Bergamasco
In tutte le filiali del Credito Bergamasco è possibile acquistare i biglietti. Info: www.creberg.it
VIDEO - DARIO FO: LA MIA VOCE PER LO SPOT LANCIA CHE SOSTIENE LA PACE
Ci sono persone che combattono da sempre.
Uomini e donne che hanno fatto guerra alla guerra senza usare altra arma che la propria vita.
Oggi vorremmo abbracciarli tutti,ma c'è un abbraccio che ci manca.
QUesto film è dedicato ad Aung San Suu Kyi premio nobel per la pace,prigioniera nel suo paese.
Lancia sostiene il 9° Summit Mondiale dei Premi Nobel per la Pace
Mikail Gorbaciov-Nobel Per La Pace 1990
Lech Walesa-Nobel Per La Pace 1983
Frederik Willem de Klerk-Nobel Per La Pace 1993
Ingrid Betancourt-Restituita Alla Libertà Nel 2008
Aung San Suu Kyi-Nobel Per La Pace 1991
MANDELA: Lettera sull'Apartheid in Israele
"Caro Thomas (Friedman),
So che entrambi desideriamo la pace in Medioriente, ma prima che tu continui a parlare di condizioni necessarie da una prospettiva israeliana, devi sapere quello che io penso.
Da dove cominciare?
Che ne dici del 1964?
Lascia che ti citi le mie parole durante il processo contro di me. Oggi esse sono vere quanto lo erano allora:
"Ho combattuto contro la dominazione dei bianchi ed ho combattuto contro la dominazione dei neri.
Ho vissuto con l'ideale di una societa' libera e democratica in cui tutte le sue componenti vivessero in armonia e con uguali opportunita'.
E' un ideale che spero di realizzare.
Ma, se ce ne fosse bisogno, e' un ideale per cui sono disposto a morire".
Oggi il mondo, quello bianco e quello nero, riconosce che l'apartheid non ha futuro. In Sud Africa esso e' finito grazie all'azione delle nostre masse, determinate a costruire pace e sicurezza. Una tale determinazione non poteva non portare alla stabilizzazione della democrazia.
Probabilmente tu ritieni sia strano parlare di apartheid in relazione alla situazione in Palestina o, piu' specificamente, ai rapporti tra palestinesi ed israeliani. Questo accade perche' tu, erroneamente, ritieni che il problema palestinese sia iniziato nel 1967. Sembra che tu sia stupito del fatto che bisogna ancora risolvere i problemi del 1948, la componente piu' importante dei quali e' il Diritto al Ritorno dei profughi palestinesi.
Il conflitto israelo-palestinese non e' una questione di occupazione militare e Israele non e' un paese che si sia stabilito "normalmente" e che, nel 1967, ha occupato un altro paese. I palestinesi non lottano per uno "stato", ma per la liberta', l'indipendenza e l'uguaglianza, proprio come noi sudafricani.
Qualche anno fa, e specialmente durante il governo Laburista, Israele ha dimostrato di non avere alcuna intenzione di restituire i territori occupati nel 1967; che gli insediamenti sarebbero rimasti, Gerusalemme sarebbe stata sotto l'esclusiva sovranita' israeliana e che i palestinesi non avrebbero mai avuto uno stato indipendente, ma sarebbero stati per sempre sotto il dominio economico israeliano, con controllo israeliano su confini, terra, aria, acqua e mare.
Israele non pensava ad uno "stato", ma alla "separazione". Il valore della separazione e' misurato in termini di abilita', da parte di Israele, di mantenere ebreo lo stato ebreo, senza avere una minoranza palestinese che potrebbe divenire maggioranza nel futuro. Se questo avvenisse, Israele sarebbe costretto a diventare o una democrazia secolare o uno stato bi-nazionale, o a trasformarsi in uno stato di apartheid non solo de facto, ma anche de jure.
Thomas, se vedi i sondaggi fatti in Israele negli ultimi trent'anni, scoprirai chiaramente che un terzo degli israeliani e' preda di un volgare razzismo e si dichiara apertamente razzista. Questo razzismo e' della natura di: "Odio gli arabi" e "Vorrei che gli arabi morissero". Se controlli anche il sistema giudiziario in Israele, vi troverai molte discriminazioni contro i palestinesi. E se consideri i territori occupati nel 1967, scoprirai che vi si trovano gia' due differenti sistemi giudiziari che rappresentano due differenti approcci alla vita umana: uno per le vite palestinesi, l'altro per quelle ebree. Ed inoltre, vi sono due diversi approcci alla proprieta' ed alla terra. La proprieta' palestinese non e' riconosciuta come proprieta' privata perche' puo' essere confiscata. Per quanto riguarda l'occupazione israeliana della West Bank e di Gaza, vi e' un fattore aggiuntivo. Le cosiddette "aree autonome palestinesi" sono bantustans. Sono entita' ristrette entro la struttura di potere del sistema di apartheid israeliano.
Lo stato palestinese non puo' essere il sottoprodotto dello stato ebraico solo perche' Israele mantenga la sua purezza ebraica. La discriminazione razziale israeliana e' la vita quotidiana della maggioranza dei palestinesi. Dal momento che Israele e' uno stato ebraico, gli ebrei godono di diritti speciali di cui non godono i non-ebrei. I palestinesi non hanno posto nello stato ebraico.
L'apartheid e' un crimine contro l'umanita'. Israele ha privato milioni di palestinesi della loro proprieta' e della loro liberta'. Ha perpetuato un sistema di gravi discriminazione razziale e disuguaglianza. Ha sistematicamente incarcerato e torturato migliaia di palestinesi, contro tutte le regole della legge internazionale. In particolare, esso ha sferrato una guerra contro una popolazione civile, in particolare bambini.
La risposta data dal Sud Africa agli abusi dei diritti umani risultante dalla rimozione delle politiche di apartheid, fa luce su come la societa' israeliana debba modificarsi prima di poter parlare di una pace giusta e durevole in Medio oriente.
Thomas, non sto abbandonando la diplomazia. Ma non saro' piu' indulgente con te come lo sono i tuoi sostenitori. Se vuoi la pace e la democrazia, ti sosterro'. Se vuoi l'apartheid formale, non ti sosterro'. Se vuoi supportare la discriminazione razziale e la pulizia etnica, noi ci opporremo a te.
Quando deciderai cosa fare, chiamami."
VIDEO: DARIO FO PITTORE BUFFO (BELLISSIMO)
CLICCA SUL DISEGNO PER VEDERE IL VIDEO. Alla Casa dei Teatri di Roma è in programma fino all’11 gennaio la mostra ‘Pupazzi con rabbia e sentimento’ dedicata alla pittura di Dario Fo. Esposti numerosi disegni e dipinti del Premio Nobel per la letteratura, attraverso i quali scopriamo la sua naturale facilità di raccontare anche per immagini. Ritroviamo in queste opere anche il sodalizio con la sua compagna di vita e arte Franca Rame
LA SINISTRA IMPARI DAL CARDINALE
Dario Fo è entusiasta: «Meno male che c’è il cardinale, lui risponde ai bisogni dei diseredati, mentre ci si preoccupa solo degli appetiti degli speculatori».
Sorpreso dall’uscita del cardinale?
«Fino a un certo punto». Perché?
«Tettamanzi mi aveva già commosso, e anche un po’ sorpreso, quando volle mettersi sulla scia di un suo grande predecessore: Sant’A mbrogio, facendo proprie le dichiarazioni dell’antico vescovo di Milano a proposito della comunità dei beni, che permeò gli inizi del cristianesimo e che oggi difficilmente viene considerata dalla Chiesa».
Un ritorno alle origini?
«La decisione di mettere a disposizione delle famiglie bisognose un milione di euro mi ricorda da vicino il primo ingresso in Duomo di Ambrogio, dopo la nomina ad arcivescovo. Fu in quel momento che rinunciò a tutti i propri beni per donarli alla Chiesa, affinché cominciasse davvero ad aiutare i poveracci. Una sorta di comunismo ante-litteram».
Anche Tettamanzi “comunista”?
«Al di là delle etichette, con i suoi discorsi il cardinale si sta mettendo fuori da una logica purtroppo oggi imperante a Milano: la logica del potere che alimenta gli affari e gli intrallazzi. Delle banche, della speculazione edilizia, e non solo in vista dell’Expo. Stiamo assistendo al grande assalto degli interessi organizzati, a cui non sono estranee organizzazioni di matrice cristiana, e a pagarne il prezzo sono sempre i soliti, i più poveri. Tettamanzi si è mostrato più volte severo con questo andazzo, mi sembra abbia scelto da che parte stare. E non da oggi».
È anche entrato in conflitto con la Lega, sostenendo la proposta di piccole moschee di quartiere.
«Appunto. È rimasto solo lui a dire quello che bisogna fare».
Un tempo, a sinistra, si sarebbe detto che il problema della crisi economica non si risolve con l’elemosina ai poveri...
«Ma quale sinistra. Quella che due anni fa ha scelto come candidato sindaco un ex poliziotto, oltretutto legato agli interessi forti dominanti in città? Non scherziamo, il cardinale ha fatto benissimo ad annunciare questa iniziativa in una città che, non dimentichiamolo, dagli inizi del Novecento ha sviluppato un fortissima rete di solidarietà. Penso alle cooperative edilizie, alle biblioteche di quartiere, alle farmacie comunali, alle scuole legate alla tradizione sindacale... Imparasse un po’ dal cardinale, certa sinistra».
Però la Provincia ha stanziato 25 milioni per i milanesi in difficoltà, e Penati applaude Tettamanzi.
«Questo va a suo merito, applaudo al gesto. È proprio in questa direzione che la sinistra si deve muovere se vuole se vuole riguadagnare la credibilità di cui godeva alle sue origini».
L’anno vecchio sta finendo, come vede quello nuovo per Milano?
«Davvero pesante. E non solo per gli effetti della crisi. Questa è una città, come ha detto qualcuno, in cui non ci sono neppure le fabbriche che crollano: sono crollate tutte prima, a cominciare dall’Alfa Romeo, comprata e poi smantellata dalla Fiat. Le mense per i poveri scoppiano, strutture come quella del Pane quotidiano non ce la fanno più. Ma nessuno fa niente, a cominciare dalle istituzioni. Io penso che l’uscita di Tettamanzi sia anche un modo per richiamare il Comune e gli altri enti a intervenire in modo serio».
Per aiutare i poveri?
«Certo. Ma io ho in mente il problema gigantesco che stanno vivendo i giovani, ai quali viene dedicata ben poca attenzione per il loro futuro nel lavoro, oltre che nella cultura, a cominciare dal problema della ricerca universitaria, dove invece di trovare assistenza e mezzi adeguati, trovano vuoto e difficoltà estreme. Non parliamo poi della condizione in cui si trovano le scuole d’a rte — accademie e conservatori — e gli enormi ostacoli che incontrano autentiche genialità espressive. Non hanno la possibilità di dimostrare il loro talento».
La cultura è un costo, in tempi di vacche magre bisogna tagliare...
«Quando ho cominciato io, nell’immediato dopoguerra, non era così, a chi aveva responsabilità pubbliche non mancava la volontà politica di investire su un settore considerato fondamentale per la crescita delle nuove generazioni. Adesso quando si riesce a mettere in piedi nuovi corsi, e non solo all’università, poi bisogna rinunciare perché mancano i fondi. Ma così muore tutto, e a sostituire i giovani che avrebbero qualcosa da dire arrivano imprese che propongono un normale teatro di repertorio e musical di grande successo. A questo livello, a dire poco fallimentare, hanno ridotto non solo Milano, ma tutto il Paese».
EDUARDO DE FILIPPO: NATALE IN CASA CUPIELLO
AUGURI!!
STRALCIO DALLA BIOGRAFIA DI FRANCA RAME
Nel cielo, alta, sta una luna esagerata.
e' settembre.
Da fuori viene un’aria ancora tiepida.
Numerose stelle producono un chiarore opaco.
Il giorno e' lontano.
Mia madre sta morendo.
Sto seduta su una poltrona, la testa appoggiata ad un cuscino, ma non riesco a dormire. Gli occhi mi bruciano, ma non ho sonno. Sono rientrata da poco. Stasera al teatro Odeon ho recitato “Tutta casa, letto e chiesa”, senza seguire quello che andavo dicendo: come si dice, recitavo con il secondo cervello. L’altra parte era in questa camera.
Mi appoggio meglio alla poltrona.
Ho posato in grembo il latte detergente per lo strucco. Me lo passo sul viso con i cleenex, con sospiri lunghi. Di quelli che ti sconquassano l’anima.
Sto vivendo questo momento come non capitasse a me. La guardo. Lei e' li' che sta faticando a morire.
Un rantolo costante da giorni ci segue in ogni stanza.
La sua mano, che tengo piu' che posso nella mia, e' tiepida… se non fosse per quel respiro strozzato che le esce e le labbra spaccate per l’arsura, potrebbe sembrare una bellissima anziana signora addormentata.
“Si', mamma, ora te le inumidisco” … mi viene normale parlarle come mi sentisse. Da una tazza prendo la garza intinta nell’acqua, delicatamente gliela passo sulle labbra. Sulle gengive. Qualche goccia sulla lingua. Mi sembra che ne succhi un po’. Chissa'.
“Sono qui, mamma. Sono qui, dammi la mano”.
La casa dorme. Anche l’infermiera della notte riposa.
In questi solitari silenziosi momenti, il pensiero fa salti qua e la' nella nostra vita. Penso sia una cosa normale: come tirare le somme, mettere in fila i ricordi. Il passato ti viene davanti a saltelloni, il bello e il brutto, sorridi e ti rattristi in un attimo… tutto corre veloce.
Sento mamma che mi racconta della sua infanzia: “Che ragazzina generosa la Sgarbina, figlia del nostro droghiere… quando andavamo da lei subito si metteva una caramella in bocca, la succhiava un po’, poi ce la regalava.”
Mi vedo la scena con un sorriso. Che m’e' venuto in mente?
La mia famiglia.
Non ho conosciuto nessun nonno e da piccola invidiavo le bambine che li avevano.
Cerco di immaginare mia madre tra i suoi. Il padre ingegnere del comune di Bobbio, la madre casalinga. Undici figli: sette femmine, quattro maschi. Poveri come l’acqua, dignitosi, di classe sociale intermedia, ma con troppe bocche da sfamare e da far studiare. Maschi e femmine non potevano mai uscire tutti insieme: mancavano le scarpe.
L’Emilia, la mia mamma, a 17 anni diventa maestra. Per quei tempi era una conquista sociale. La mandano a insegnare in una scuola sperduta in montagna, ad una ventina di chilometri dal suo paese. Viene ospitata da un cugino prete, appena uscito dal seminario, grassottello e gentile. Il giovane prete si innamora perdutamente di lei. Don Celeste, cosi' si chiamava, cerca aiuto nelle preghiere e nel digiuno. Ma il Signore e' distratto e non gli tende la mano. Disperato, balbettando il giovane si rivolge a Emilia: “Devo farti una confessione. Ho deciso di lasciare la parrocchia e spretarmi”. “Hai perduto la fede?” - chiede sconvolta la ragazza. “Si', ma in compenso ho guadagnato te. Ti voglio sposare!” E cosi' dicendo, tenta di baciarla. Vola un ceffone sul facciotto pallido dell’impunito, e quasi soffocando per l’indignazione, l’angelica maestrina apostolica fervente praticate, se ne torna a casa dai genitori, a piedi, che era gia' scuro… e c’era pure la neve.
Quanto fervore nella tua voce quando torni a raccontare di quel momento… quanta indignazione, mamma. Dopo tanti anni nella tua testa, e' sempre come fosse ieri: un ricordo indelebile.
Fotografia mai ingiallita.
Credo sia stato l’unico momento “vergognoso” come lei lo definisce, della sua vita.
“Ma mamma, quel povero prete, in quel paesino sperduto in montagna… potevi anche darglielo un bacino…” le dicevo ridendo.
“Mai! Si vergogni!”
“Ma mamma, chissa' da quanto e' morto!” “All’inferno! Sara' certamente all’inferno!”
A 85 anni, e non era la prima volta, a Cesenatico, mi chiede di confessarsi. Dario, in bicicletta va a chiamare il prete. Lo vedevamo tutte le estati, sempre a confessare mamma'. Aperto, intelligente, un buon cristiano. Li lasciavamo soli, nel portico protetto da zanzariere. Parlottavano per una mezz’oretta. Lei, seduta, compunta, seria, con gli occhi bassi come bruciasse ancora di vergogna per tanta offesa. Lui, con la bocca piena di biscotti sorseggiando il the, la rincuorava.
Li spiavo sciogliendomi di tenerezza.
Quando usciva gli chiedevo: “Ha visto che peccati tremendi ha fatto la mia mamma? E’ sempre quello, eh? Il povero pretino… e il ceffone…” Lui, intascando l’offerta per la chiesa, se ne andava ridendo.
In bicicletta.
In quel tempo arriva, in quel di Bobbio, un giovane si' e no di vent’anni, si chiama Domenico Rame, di professione "marionettista girovago" con il suo carro, il fratello Tommaso, la sorella Stella, il padre Pio, grande estimatore di Garibaldi tanto da portare una barba come la sua. Infatti, l'unico ritratto in nostro possesso lo raffigura vestito e somigliante all'eroe dei due mondi!
Nella cittadina di Bobbio l’arrivo delle marionette doveva essere certamente un evento. Emilia incontra il giovane marionettista Domenico Rame, il mio papa', a un gran ballo: quello di Carnevale.
Il fatidico incontro
Io me la vedo, mia madre signorina, che attraversa il gran salone con le colonne, delicata e sinuosa, di una bellezza sconvolgente.
Eccole… entrano tutte insieme le sette sorelle Baldini con costumi d’epoca cuciti da loro stesse: si fa un gran silenzio. Le ragazze camminano ridendo sotto lo sguardo attento di tutta la famiglia, i maschi presenti restano folgorati da tanta belta'.
Anche mio padre era bello. Indossava un costume azzurro…
“…E mi ha invitato a ballare sette volte. E mi stringeva anche!” assicura mia madre, illuminata dal ricordo e per nulla imbarazzata da tanto ardire.
Lui le dice subito: “Sono un marionettista.”
Lei scoppia a ridere convinta sia una boutade. “Mi creda, sono veramente un marionettista… anzi, voglio fare una marionetta che assomigli perfettamente a lei… cosi' non la potro' dimenticare!”.
Fatto sta che entrambi sono rimasti letteralmente fulminati uno dall’altra.
Domenico, finita la stagione in quel di Bobbio, smonta il teatrino con i suoi e se ne va. Lei rimane sospesa come una marionetta per i fili… e dondola senza vita.
Dopo un anno di lettere d’amore mio padre torna. Si sposano con grande scandalo della famiglia e del paese. Eh si', perché tutte le altre sorelle erano fidanzate con tipi ben piazzati, il professore, il giudice, il direttore di banca. Lei no: si va ad innamorare di un marionettista, col suo carro e senza fissa dimora. Altro che scandalo!
La mia mamma
Bella, giovane, innamorata, cerca con tutte le sue forze di adeguarsi alla nuova vita, tanto diversa da quella che aveva condotto sino a quel giorno. Aiuta la famiglia come puo'. Non sa manovrare le marionette, ma si ingegna a cucire vestiti, e rinnova tutto il guardaroba dei pupazzi di legno.
A pensarci pare una favola.
E’ molto orgogliosa di quello che fa. Piu' avanti, dira' qualche battuta doppiando le marionette. Era appena finita la guerra, c’era la crisi, un sacco di operai disoccupati, scioperi e disordini, cariche di polizia, arresti e processi. Mio zio era socialista militante, partecipava ai comizi e organizzava manifestazioni di protesta. Perfino il programma degli spettacoli era cambiato.
Era la prima volta che si assisteva a commedie di marionette dove si raccontavano storie di lotta di classe. Le Mondariso di Novara in sciopero, con Gianduia carabiniere che scopre un intrallazzo organizzato dai proprietari terrieri con l’intenzione di boicottare lo sciopero e far credere che dei delinquenti comuni siano gli organizzatori della protesta sociale.
Sempre con le marionette, i Rame riuscivano a mettere in scena la storia di Cola di Rienzo, che fonda la prima Repubblica libera Romana e Arnolfo da Brescia che lotta per l’autonomia dell’universita' e viene condannato come eretico al rogo. Succedeva spesso che alla fine delle rappresentazioni il pubblico si alzasse in piedi e cantasse addirittura l’Internazionale. Percio', c’era da aspettarselo, ebbero grane con la polizia. Furono chiamati in questura dove il commissario capo diede loro l’avvisata: “Vi consigliamo di cambiare programma perché alla prossima di queste bravate vi arresto con tutti i vostri attori”. “Attori? Ma noi abbiamo solo marionette! “Appunto: arresteremo le marionette”.
Con l'avvento del cinema (1920) i fratelli Rame intuiscono che "il teatro delle marionette" sara' presto messo in crisi, schiacciato da questo nuovo straordinario e anche un po’ magico mezzo di spettacolo. Con grande dolore del nonno Pio, decidono un cambiamento radicale del loro programma e condizione: “Reciteremo noi i nostri spettacoli, entreremo in scena noi al posto delle marionette".
Cosi' mio padre con l’Emilia, la zia Stella, lo zio Tommaso con la moglie Maria, nuova recluta della compagnia, si sostituiscono ai pupazzi di legno (vere e proprie sculture snodate, tre delle quali sono esposte al Museo della Scala di Milano). Hanno scelto i testi, li hanno provati e riprovati, si son procurati i costumi e i fondali dipinti per loro da un amico scenografo della Scala, Antonio Lualdi, e debuttano in un teatro: il teatro di persona, e lei, la mia mamma, diventa la prima attrice. Un'attrice che di giorno tirava su i figli, li aiutava a studiare, si occupava della casa come una piu' che provetta casalinga a tutti gli effetti, teneva l'amministrazione della compagnia come fosse quella di un normale me'nage familiare. E alla sera, salendo sul palcoscenico, eccola trasformarsi in Giulietta e Tosca, e la Suora Bianca dei “Figli di nessuno”, e la Fantina de “I Miserabili”, tutti ruoli che via via, anche noi figlie e cugine, abbiamo poi interpretato. Mi vedo a percorrere l'apprendistato dei teatranti recitando tutti i ruoli che crescendo erano adatti alla mia eta', maschili o femminili che fossero.
Il vantaggio della compagnia di mio padre rispetto alle altre compagnie di giro, (cosi' si chiamavano le piccole compagnie di provincia) era l'invenzione di impiegare tutti i trucchi scenici del teatro fantastico delle marionette, nel "teatro di persona": montagne che si spaccano in quattro a vista, palazzi che crollano, un treno che appare piccolissimo lassu', nella montagna e che man mano che scende entrando e uscendo dalle gallerie, s'ingrandisce fino ad entrare in scena con il muso della locomotiva a grandezza quasi naturale. Mari in tempesta, nubi che solcano minacciose il cielo tra lampi e tuoni, gente che vola, scene in tulle in proscenio, che illuminate a dovere ti facevano vedere come era fatto il paradiso.
Insomma tutti gli espedienti tecnici dell'antico teatro seicentesco dei Bibbiena, che viveva ancora, dentro la scenotecnica delle marionette.
Soltanto che in quel teatro tutto era stato miniaturizzato, si trattava adesso di eseguire una operazione da Gulliver alla rovescia: da minuto che era all’origine, ingrandire ogni oggetto, aggeggio, marchingegno fino a renderlo simile alla realta'.
In questa nuova veste, i miei realizzano un successo insperato. Senza quasi rendersene conto, i Rame avevano compiuto un vero e proprio salto mortale dentro l’antico teatro dell’Arte, riportando alla luce macchinerie, cambi di scena rapidi e a vista, effetti fantasmagorici dimenticati. La gente viene ad assistere ai nostri spettacoli con lo stesso spirito dell’andare in giostra, con grida, risate e spaventi.
La vita era bella. Si lavorava, 363 giorni l’anno. Si riposava solo il venerdi' santo, e il 2 dei morti, a novembre, o se c'era il funerale di un defunto importante del paese: il prefetto, il podesta', il prete, il dottore, il farmacista. La domenica, la compagnia si divideva in due e si faceva doppio spettacolo, pomeriggio e sera.
Mio padre, il capo, con il ruolo di primo attore, manager P.R.; lo zio Tommaso, drammaturgo-poeta di compagnia nel ruolo dell'antagonista o del comico-brillante a seconda delle commedie; le mogli, i figli, gli attori scritturati, i dilettanti, gli amici componevano la nostra compagnia. Giravamo cittadine, paesi e borghi del nord Italia su di una corrierina che chiamavamo "Balorda" a causa del comportamento bizzarro che mostrava: il suo era proprio un motore a scoppio, ogni tanto addirittura esplodeva, sparava acqua bollente, fumi con sussulti e gemiti. Insomma, un’auto da guitti magici. Quel comportamento, piu' che ad un carattere folle, era forse da attribuirsi agli anni. In alcuni paesi a monte nei quali ad una certa ora del giorno si transitava, nei tourniché particolarmente ripidi, lei, la vecchia signora, non ce la faceva proprio. C'erano sempre dei ragazzi che ci aspettavano. Ci spingevano fra tante risate, poi la sera ci raggiungevano ed entravano a godersi lo spettacolo gratis. "Siamo quelli che abbiamo spinto la Balorda". "Passate".
Mio padre, amava quel prototipo meccanico primitivo, e zingarone com'era, gioiva tutto nel vedersela rilucente di colori sgargianti. Mia madre, la maestrina-cattolica-di buona famiglia ogni volta che lui le cambiava colore: "Non sposeremo mai le nostre figlie!" lamentava col pianto in gola. "Hai ragione Milietta… domani rimedio. La tingero' di un colore piu' sobrio". E l'indomani quando "Milietta" si affacciava in cortile, ecco la Balorda ridipinta: d’argento!
Emilia lanciava un grido, poi bisbigliava: “Per sistemare le nostre figlie non ci resta che metterle all’asta con le svendite di fine stagione”.
Cos’e'?… m’ha stretto la mano?… Trattengo il fiato. Giro appena la lampada del comodino. No, mi e' solo parso… Ma forse… Che debbo mai aspettarmi, in che spero? Ha 88 anni, e' in coma profondo da oltre 20 giorni.
Fuori e' ancora buio. Guardo l’ora. E’ passato poco tempo e mi pare un’eternita'.
Stava per finire la guerra. Nella nostra zona bombardamenti pesanti non ne avevamo subiti. Qualche bomba sulla fabbrica di aerei: la Macchi, alla periferia di Varese, a Masnago.
Proprio a Masnago ricordo una notte che si stava tornando a casa dopo lo spettacolo, veniamo fermati, sia noi che tutti quelli che transitavano per quella strada dopo di noi, da un gruppo di fascisti e SS. Ci hanno fatto entrare in un cortile, (era quello dove abitava uno dei nostri dilettanti, chiamato "Luigino-Cassa-da morto”, perche' suo padre le fabbricava) la', siamo stati bloccati per ore. Solo intorno alle 7 ci hanno lasciati andare.
Non e' stato per niente drammatico, per noi giovani. Dopo poco la serieta' degli adulti l’abbiamo cancellata. L'aria, era di festa. La mamma del Luigino-cassa-da-morto, ci aveva offerto qualcosa da mangiare. Si parlava, si rideva nonostante i tedeschi e i fascisti con i loro mitra, giu' nel cortile. “E’ arrivata altra gente… stanno fermando tutti.” Cominciamo ad avere sonno, si parla e si ride di meno, qualcuno s’e' addormentato.
Sarebbe, questa strana notte, finita in tragedia se col mattino fosse arrivata la notizia del fallimento di una missione tedesca. Ci avrebbero fucilati tutti. L'abbiamo saputo qualche giorno dopo, da Lunardi, un prestigiatore fantastico amico di mio padre, che bazzicava in ambienti fascisti.
L'abbiamo scampata!
Altre volte, capitava che ci fermassero dei partigiani. Non dicevano "siamo partigiani" ma erano in borghese con i mitra: "signor Rame, ci da' un passaggio?" Ci stringevamo e li facevamo salire e via che si riprendeva a cantare. Piu' avanti, a volte capitava di essere fermati da una pattuglia di fascisti, non chiedevano i documenti, ci conoscevano. Avevamo un permesso speciale per girare con il coprifuoco. "Buona sera signor Rame. Com'e' andata?"
Il cuore si fermava per un attimo. "Benissimo! Grazie." "Buona notte” "Buona notte”. Ce ne andavamo riprendendo a cantare col fiato che si strozzava in gola. I partigiani cantavano piu' forte di tutti.
Risalgo dai miei pensieri quasi con un sussulto: e' Dario che mi ha baciato sulla fronte
“Come va?” “Bene, dorme…” Non mi veniva di dire: non risponde piu', e' in coma.
Dario mi da' un altro bacio. “Va a dormire, ci sto io”. “Non ho sonno…” Come se ne va mi metto a piangere. Che momento orribile. Appoggio la testa allo schienale della poltrona, poi mi rimetto dritta. Non voglio addormentarmi.
Al funerale, durante la messa, ho continuato il tragitto nella mia vita, passata con la mia famiglia. E’ un bel modo per ammazzare le ore. Per non pensare...
"E' ora che Franca incominci a recitare, ormai e' grande”. Avevo 3 anni. E’ mia madre che parla. Me la ricordo mentre mi insegnava la parte: "bocca a bocca", cosi' si diceva a casa mia, parola per parola come in una litania. Aveva deciso (era sempre lei che prendeva le decisioni importanti in famiglia) che avrei fatto un angiolino di supporto all'angelo vero, che veniva interpretato da mia sorella Pia in "La passione del Signore" atto quinto, Orto dei Getsemani.
"Pentiti Giuda traditore che per trenta monete d'argento hai venduto il tuo Signore! Pentiti! Pentiti!” iniziava Pia e io dovevo ripetere gridando a piu' non posso la stessa battuta: “Pentiti! Pentiti! Giuda traditore che per trenta monete d'argento ha venduto il suo Signore!”
Non era una gran parte, non ci devo aver messo molto ad impararla. "Ripeti!" e ancora e ancora "ripeti" diceva la mamma paziente mentre pelava le patate per il minestrone. "Ripeti!"
Mia madre per i suoi figli era ambiziosissima.
Per l'occasione mi aveva cucito un bellissimo abito bianco da angelo, con due grandi ali bianche e oro appoggiate sulle spalle. Seppur credente non andava mai in chiesa ma lei, lo sapeva benissimo che gli angeli erano vestiti cosi'! Mio padre, ormai entrato nel gioco, mi fabbrico' una coroncina di lampadine, che grazie a una pila infilata nelle mutandine, si accendevano. Come in un rito sollevo' la coroncina e me la pose in testa.
Arriva l’ora d'andare in scena e tutti: "Ma che bell'angiolino! Ma che bel vestito!" La mia mamma faceva andare la coda e io, li' pronta con le mie ali e le lampadine in testa, a ripetere la battuta. Non mi avevano fatto fare nessuna prova. Sapevo solo che ad un certo punto avrei dovuto seguire mia sorella Pia nell'entrata in scena ed ad un segnale della mia mamma sistemata in quinta avrei dovuto gridare "pentiti-pentiti…".
Il guaio, l'imprevisto che piu' imprevisto di cosi' non si poteva immaginare, fu che il personaggio di Giuda era interpretato da mio zio Tommaso, un uomo che avevo sempre visto calmo, sorridente, che a noi bimbi raccontava storie bellissime. Volevo molto bene a mio zio, e vedermelo li', proprio vicino-vicino, con una parruccaccia nera in testa… gli occhi che lanciavano saette tra un minaccioso tuonar e lampeggiar nel cielo… che disperato gridava: "Possano i corvi divorarmi le budella, le aquile strapparmi gli occhi!" e altri animali che non ricordo "mi divorino un pezzetto alla volta ad incominciare dalla lingua", mi fece un terribile effetto. Mamma mia che spavento! Cosa stava capitando?! Ero stravolta, me lo ricordo benissimo. Ma quello che mi butto' completamente fuori, fu il vedere mia sorella, solitamente rispettosa ed educata, che per nulla intimorita gliene stava dicendo di tutti i colori! Una sfuriata in piena regola che trascinava il nostro povero zio in una disperazione sempre piu' nera. "Ma cosa sta capitando? Perche' lo zio Tommaso fa cosi'?" Il groppo che mi sentivo in gola stava per scoppiare. Mia madre dalla quinta mi faceva gesti piu' che perentori, le sue labbra ripetevano “péntiti, péntiti”. Giuro che avrei potuto dire la mia battuta, ma non me la sentivo proprio di rincarare la dose. No, io no, allo zio Tommaso non dico proprio un bel niente! Non so cosa gli sia capitato, poverino. Forse e' impazzito.
A piccoli passi, camminando come pensavo camminassero gli angeli, seppur spaventatina, gli sono andata vicino, lui era in ginocchio e gridava piu' che mai… proprio fuori di testa. Dio che pena! Senza dire una parola mi sono arrampicata al suo collo e l'ho abbracciato, tempestandogli la faccia di baci. Insomma cercavo, con i mezzi che avevo a disposizione, di calmarlo e piangevo nel silenzio che era calato in palcoscenico.
Pia era ammutolita. In quinta mia madre faceva segnali che non prospettavano niente di buono. Lo zio-Giuda si blocca per non piu' di sette secondi, giuro, poi con voce profonda (intanto con la mano solleticava la mia e con gli occhi mi rideva per tranquillizzarmi) recita rivolgendosi al cielo: “Dio, sei grande! A questo orrendo peccatore mandi il conforto... un piccolo angelo… mi tendi la mano… No, no, non me lo merito!” e , dal momento che lo spettacolo doveva pur terminare, taglia corto “M'impicco! Dov’e' il grande fico, albero della vergogna? M’impicco!!” Deve usare un po' di forza per liberarsi da me che proprio non ne voglio sapere di lasciarlo andare ad impiccarsi. Cosa vuol dire impiccarsi? Non lo sapevo ma ero certa fosse una cosa brutta. "L'albero piu' alto… dov'e' l'albero piu' alto… Lasciami andare angiolino… Lasciami.." e con un urlo agghiacciante esce di scena. Mia sorella (l'unica volta nella sua vita, credo) non sapendo piu' che fare, camminando sulle punte, immediatamente lo segue. Grande applauso.
Tutti mi chiamano dalla quinta con grandi cenni. Non so se la paura d'essere sgridata o il senso del dovere che, maledizione, da che sono nata e' li', a infastidirmi la coscienza, fatto si e' che dopo un attimo di silenzio, raddrizzandomi la coroncina di lampadine che nel trambusto stava per cadermi, con voce chiara e mesta, quel tanto che serve dico: “S'impicca! Non s'e' pentito… Giuda traditore che per trenta monete d'argento ha venduto il suo Signore… Non s'e' pentito!" e via che esco.
Ce l'avevo fatta: l'avevo detta tutta! Non so se mi abbiano detto qualcosa… so solo che da allora in poi, "La passione del Signore" ha sempre avuto due angiolini, con il piu' piccolo che abbraccia Giuda a mostrare la grandezza di Dio.
E tutti giu' a piangere.
Sorrido, mentre il prete finisce la messa.
Hai vissuto 88 anni, mamma.
Ho cercato di darti il meglio che ho potuto. Dedizione.
Rispetto.
Tempo.
Amore.
Tanto!
Sono serena.
Ciao cara.
Buon riposo mamma.
E’ il 4 ottobre, 1981. San FRANCESCO.
Franca Rame