MILANO: TUTTI IN FILA PER MISTERO BUFFO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Da tempo Franca e Dario mi onorano della loro amicizia.
Oltre a collaborare con loro in web,  quando c'è una prima a Milano mi invitano sempre.
In questi anni ho potuto assistere  alla nascita di lavori come S. Ambrogio, Bocaccio, e altre opere da quel vulcano in continua eruzione di Dario, modellato e modulato da Franca, l'altra metà del Nobel.

Dopo 42 anni dal debutto e dopo anni dall'ultima rappresentazione, ieri sera hanno rimesso in scena l'opera contemporanea che ha cambiato il Teatro epico italiano e non solo, rappresentata in tutto il mondo, copiata da altri, reinterpretata, e che è diventata un pezzo della storia del Teatro universale: Mistero Buffo.

Nel Teatro più centrale di MIlano, in Piazza San Babila, ieri sera si è compiuto il rito di un successo annunciato.
Nel freddo polare di una Milano mitteleuropea, si è materializzata all'improvviso una fila infinita, centinaia di metri di gente che attendeva di entrare.

Franca mi aveva riservato come sempre posti eccezionali, la platea era piena di gente nota, artisti, gente dell Tv, amici.

Lo spettacolo? Dario il solito istrione, il mattatore assoluto, capace di trasformare il silenzio di un sorso d'acqua in una battuta esilarante, di fermarsi in una lunga pausa e rimproverare il pubblico di non essere svelto.

Ma quando è apparsa Franca in tre pezzi di cui 2 inediti, il teatro è venuto giù. Lei non è un'attrice, lei è l'attrice.
Una perfezione assoluta che ha lasciato a bocca aperta anche chi la conosceva.
Divino il pezzo nuovissimo e sarcastico della "Lezione d'amore" ovvero l'istruzione di una prostituta che deve imparare a stare anche con politici piccoli e pelati.
E qui un inanellamento di gaffes, paralleli che solo alla fine si comprendono: come una bomba a orologeria Franca aumenta il ritmo in un incalzare che lascia il pubblico senza respiro fra un'allusione e l'altra, fino al boato finale che la consacra come una delle attrici più amate di teatro non solo italiano.

E poi la straziante finale  Maria e la Croce, il colloquio fra Maria e il figlio morente in croce, un pezzo lacerante, il dolore di una madre e di Cristo in coma crocifisso dinanzi a lei.
Qualche lacrima e poi un silenzio spettrale fra un lamento e un lungo rantolo. Il teatro si fa muto, il dolore viene travasato sulla platea, lo sguardo di Franca si vitreo, è una madre che soffre davvero davanti al figlio straziato senza pietà.

Si spengono le luci e resta l'ombra di lei, la siluette inconfondibile di Franca, di una donna coraggiosa che ha lottato contro le violenze, contro i fascisti, contro le ingiustizie, brutalizzata da vigliacchi e che ha pagato caro il suo credo.

Il Nuovo le ha tributato un successo con ovazioni a scena aperta, chiamate e lunghi applausi. Un abbraccio affettuoso del suo pubblico.

Dario invece propone Bonifacio VIII e la Resurrezione di Lazzaro. Inutile dirvi la reazione degli spettatori. Alla fine ti resta la sensazione di avere assitito ad una pagina della storia del Teatro, una lezione di stile, elegnza, storia, cultura, degna di un Nobel.

Anzi di due Nobel.

Fabio Greggio   foto da Repubblica.it


Mistero Buffo (dalle origini) - Dario Fo e Franca Rame in scena al Teatro Nuovo di Milano

dal 4 al 16 gennaio al Teatro Nuovo di Milano

 

Esattamente 41 anni fa andavamo in scena qui a Milano con Mistero Buffo. Era il 1969. Recitavamo in un capannone di una piccola fabbrica dismessa dalle parti di Porta Romana che noi avevamo trasformato in una sala di teatro con il nostro gruppo.

In quell’occasione Franca ed io ci alternavamo sul palcoscenico eseguendo monologhi di tradizione popolare, tratti da giullarate e fabliaux del medioevo, non solo italiane, ma provenienti da tutta Europa. Lo spettacolo ottenne grande successo e venne replicato centinaia di volte nel nostro teatro di via Colletta, in palazzetti dello sport, chiese sconsacrate, locali cinematografici, in balere e perfino in teatri normali. Mistero Buffo cercava di dimostrare che esiste un teatro popolare di grande valore, nient’affatto succube o derivato da testi della tradizione erudita, espressione della cultura dominante.

In quell’occasione ci si sentiva ripetere a tormentone: «Non esiste una forma espressiva popolare autonoma perché l’unica cultura autentica e di pregio è quella espressa dal potere dominante. L’altra, quella cosiddetta popolare, in verità è solo risultato di scopiazzature.» Insomma: gli unici poeti validi sono quelli dalle corti dei principi e dell’alta borghesia. Fu proprio in quel tempo che scoprimmo dei ricercatori di grande valore che ci davano ragione, a cominciare da Pitrè, Toschi e De Bartholomeis, Tullio de Mauro e Gianfranco Folena, il quale nel suo saggio “Il Linguaggio del caos” ci dedicava uno straordinario capitolo (“Le lingue della commedia e la commedia delle lingue”) nel quale, fra l’altro, diceva: «l’interlingua teatrale di Fo non richiede dal pubblico per essere intesa specifiche competenze dialettali perché la mimica, il lazzo, l’onomatopea compensano l’apparente arbitrarietà linguistica e la carenza semantica e perché Fo, grandissimo mimo, padroneggia da maestro le tecniche del discorso e della narrativa popolare. [...] Se volete godervi per esteso il significato di giullare, se pur tradotto nel nostro tempo, andate ad assistere a qualche brano di Mistero Buffo messo in scena da Franca Rame e Dario Fo. Lì potrete ottenere un’idea del tutto credibile di cosa fosse il teatro satirico dei giullari medioevali.»

Debuttando anche fuori dall’Italia dall’Inghilterra alla Spagna, per poi arrivare in Grecia e in Russia, rintracciavamo brani del tutto sconosciuti raccolti da ricercatori di Paesi e culture diverse. Noi li si metteva in scena quasi a soggetto. Il testo definitivo lo si stendeva solo dopo averlo recitato per mesi interi. Ritrovammo canovacci rappresentati secoli fa dai comici dell’arte, soprattutto in Francia, brani recitati da Arlecchino e da altre maschere, e in seguito a un nostro viaggio in Cina riuscimmo ad arricchire il nostro repertorio anche della “Storia della tigre”.

Così, ad un certo punto, ci accorgemmo recitando a Roma nello chapiteau di un circo viaggiante che raccoglieva più di 2000 persone che la mole del testo di Mistero Buffo si era ormai decuplicato. Per riuscire a misurarne la dimensione decidemmo di recitare ogni sera uno spettacolo con testi completamente differenti. Così si giunse a mettere in scena la bellezza di sei “Misteri Buffi”.

Ma se dovessimo oggi ripetere lo stesso esperimento, siamo certi che la sequenza delle nostre esibizioni raggiungerebbe il numero di dieci e più testi autonomi. Oggi, dopo quasi mezzo secolo, torniamo in scena, di nuovo a Milano, con una selezione di questo nostro spettacolo “dei primordi”. Non ci è stato facile decidere quali testi privilegiare. Siamo sicuri che durante queste due settimane di teatro, nelle varie serate inseriremo qua e là altri testi e soprattutto andremo recitando all’improvviso in modo a dir poco esagerato.

Ma dovete capire: per noi recitare non è solo un mestiere, ma è anche e soprattutto un divertimento. Che raggiunge il massimo del piacere quando riusciamo a inventarci nuove situazioni e buttare all’aria convenzioni e regole. Speriamo di comunicarvi questo nostro spasso e di riuscire a sorprendervi, farvi ridere e magari pensare.


Caravaggio al tempo di Caravaggio

Un'opera di e con Dario Fo e Franca Rame portata in scena in occasione della “Mostra Impossibile” di Caravaggio realizzata congiuntamente dalla Rai e dalla Regione Campania. La lettura rovescia molti schemi acquisiti della storia dell’arte inquadrando con vivezza il più grande pittore del Seicento italiano nel suo tempo, un secolo cupo di violenze e lotte politiche, il cui l’arte si intreccia alla religione e al pensiero senza disdegnare la cruda verità della vita reale.

Prima parte

Seconda parte

Il DVD con l'opera completa lo trovate su commercioetico.it


LA FABBRICA DELLE SCIMMIE - intervento di Dario Fo su Mirafiori e Pomigliano

Questo tragico e grottesco accordo di Mirafiori e Pomigliano ci riporta subito al film Tempi Moderni di Charlie Chaplin, dove si vive per la prima volta nella storia del lavoro dentro una fabbrica con catena di montaggio e assemblaggio automatizzato. Gli operai, Charlie Chaplin in testa, si muovono a ritmi stabiliti, gesti indicati dal programma in una strana danza che sembra festante, ma ha i tempi illogici di una storia di pazzi.

Subito mi viene in mente anche dell’esperimento condotto in un Paese dell’Oriente tecnologicamente avanzato dove, qualche anno fa, si è pensato di sostituire agli operai delle scimmie appositamente ammaestrate. Dopo un certo periodo di addestramento gestuale le scimmie vengono inserite nella produzione. I dirigenti applaudono entusiasti: gli scimpanzé funzionano che è una meraviglia. E non c’è stato neanche bisogno di far loro firmare un contratto.

E’ incredibile: non perdono un colpo, meglio dire, un automatismo. Anzi, atteggiano il volto a un sorriso straordinariamente divertito. Macchina, scimmia, ingranaggi, tempi e metodi rendono meglio che con l’uomo operaio.

Ma dopo sei giorni, se pur rispettando le pause di riassetto e l’orario di mensa, ecco che le scimmie meccanizzate cominciano a dare strani segnali sconnessi. Qualcuna ingoia qualche bullone. Altre saltano sulla catena spruzzando olio lubrificante sul muso dei caporeparto umani, quindi con una sincronia impressionante ognuna posa il proprio cranio sotto le presse che s’abbassano spietate, schiacciando le lavoratrici impazzite.

Non c’è niente da fare: all’impresa moderna sono adattabili e confacenti solo esseri umani appositamente selezionati. D’accordo, anche per i loro cervelli l’automatismo continuo produce un inevitabile marasma fisco. Si può ammorbidirlo e ritardarne quindi lo squak, allenando il cervello degli addetti a un completo distacco dall’azione fisica. Come insegna Graham, il perfezionatore di tempi e metodi nella catena di produzione, per riuscirci il soggetto operante deve distogliere ogni pensiero o ragionamento dalla vita emotiva, dall’inserto mnemonico dei sentimenti. Uscire completamente dal pensiero, dal clima delle emozioni e delle proiezioni intellettive, tipo: “Che sto facendo? Era questo il mio programma? Dove mi porta questo lavoro? Dentro che vita mi sto muovendo? E mio figlio, mia moglie, cosa sto dando loro di me? In che società sto campando, ne val la pena?” Ecco questo, ci avverte Graham, è il cancello del baratro: se lo spalanchi e ti lasci andare nel precipizio sei finito.

A ‘sto punto, torna in primo piano Charlie Chaplin, che come un automa viene risucchiato dentro gli ingranaggi della grande macchina. Anche lui pian piano si rende conto d’essere fatto di bulloni, cinghie di trasmissione, cerchi rotanti, stantuffi e trapani avvitanti.

Una voce meccanica ripete: “Chi non firma i contratti collettivi non ha diritto a rappresentanti sindacali. Chi s’ammala, per i primi tre giorni non riceve stipendio. Marchionne vi dà la vita e ve la toglie. Vi offre una nuova organizzazione del lavoro, prendere o lasciare. Cancella l’espressione ‘sindacato’ e rappresentanza. Sei dentro l’ingranaggio come in una giostra alla quale solo chi accetta di non contare può allacciarsi la cintura. La velocità di rotazione è decisa dalla produzione e tu che non ci stai sei segnato.”

A chi t’attacchi? Alla legge? Al partito della sinistra, a Dalema, Fassino, Bersani? No, inutile. Il segretario è già uscito, non è in sede, arrangiati.

E speriamo che a sinistra ci siano ancora uomini e donne che si indignano come uomini e donne di sinistra.

 

Dario Fo


"La resurrezione di Lazzaro" tratto dal "Mistero Buffo" Rai 2 - 22.04.1977

Dario Fo ne "La resurrezione di Lazzaro" - dal "Mistero Buffo" di Rai2 - 22.04.1977

"La Resurrezione di Lazzaro" è la descrizione parodistica del miracolo più popolare del Nuovo Testamento, vissuto come grande happening del tempo...

Negli anni settanta, Dario Fo si schierò con le organizzazioni extraparlamentari di estrema sinistra e fondò il collettivo "La Comune" con la quale tentò con grande passione di stimolare il teatro di strada.

Al 1970 risale "Morte accidentale di un anarchico" col quale Fo tornò alla farsa ed all'impegno politico; era chiaramente ispirata al caso della morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli ma, per evitare la censura, si ispirava ufficialmente ad un evento analogo avvenuto negli Stati Uniti all'inizio del XX secolo.
In quel periodo fu tra coloro che ritenevano il commissario Luigi Calabresi (ucciso poi nel 1972) responsabile della morte di Giuseppe Pinelli: Fo firmò infatti l'appello pubblicato sul settimanale L'Espresso che chiedeva di intervenire contro Calabresi. La vicenda si svolge in una stanza della procura centrale di Milano con protagonista quel "Matto" che ricorre spesso nel teatro di Fo quando occorre rivelare verità scomode. Il matto adotta vari travestimenti (psichiatra, giudice, capitano della scientifica e vescovo) medianti i quali la versione ufficiale dei fatti mostra tutte le sue contraddizioni e, nel tentativo di costruire una versione plausibile, emergono ancora altre esilaranti incongruenze.

In questo periodo, comunque, Fo, con la moglie Franca Rame, torna in televisione per un ciclo chiamato "Il teatro di Dario Fo" (Rete 2, dal 22 aprile 1977, ore 20.30). Questa serie di trasmissioni porterà il futuro Premio Nobel ad essere apprezzato da una ancor più vasta schiera di persone, come solo la televisione può fare.
Vengono proposte tutte le "pièces" montate nella Palazzina Liberty dell'antico Verziere di Milano (da cui è anche trasmessa la serie). I titoli proposti sono: "Mistero Buffo", che apre il ciclo, "Settimo: ruba un po' meno", "Isabella, tre caravelle e un cacciaballe" e "Parliamo di donne" quest'ultimo interpretato dalla sola Franca Rame.

Per non smentire la sua fama rivoluzionaria, per non dire "eversiva", la serie, ed in particolare Mistero Buffo attirò l'attenzione del Vaticano che per bocca del cardinale Poletti reagì molto duramente al linguaggio trasgressivo che popola le rappresentazioni della celebre coppia di artisti.

Una curiosità, anche se autore di molte canzoni (soprattutto per Enzo Jannacci), per l'unica volta in tutta la sua carriera si trovò nella hit parade dei 45 giri, anche se in posizioni basse, con la sigla del programma dal titolo ironico "Ma che aspettate a batterci le mani".