[una voce fuori campo annuncia: Signore e signori, Dario Fo!]
Eccomi! Indovinate chi sono! Mi hanno presentato prima che apparissi... per questo mi avete riconosciuto! Infatti questa gabbietta è fatta apposta per cancellare la faccia di chi la calza.
Questo che vedete è un aggeggio mortificante che in Cina nei tempi antichi si imponeva ai condannati al silenzio, in modo che non potessero più esprimere le proprie idee o confutare quelle del potere. Si chiamava anche gabbietta da morto, in quanto era il segno che chi la calzava avesse poco tempo da vivere ancora: era un condannato al supplizio definitivo, cioè al taglio della testa, ZAC!
Qualcuno di voi si chiederà: ma come mai si tira in ballo in ogni momento la Cina oggi? Ne parlano giornali di Confindustria, riviste di divulgazione culturale... e perfino quotidiani vescovili.
“Ma che sta succedendo?”
“Sta succedendo che entro pochi anni questa enorme nazione classificata fino a poco tempo fa come paese del terzo mondo diventerà la più grande potenza della terra. Tanto per cominciare, è notizia dell’altroieri, la più imponente quotazione in borsa di tutti i tempi non l’ha realizzata un’azienda di New York o della Silicon Valley come al solito, ma una compagnia di Hanghzou, nella provincia dello Zhejiang.
La Cina è oggi fra le più grandi potenze economiche del mondo e si permette di prestare miliardi a tutti il paesi del G8, compresa l’America.
Insomma il mantenimento degli equilibri mondiali in ambito commerciale, industriale e monetario dipende dalla Repubblica Popolare Cinese.
Come mai un simile sconvolgimento?
Beh, ve ne parleremo fra poco.
Ora, senza nostalgie per il tempo passato, voglio ricordarvi di quando io e Franca siamo stati per la prima volta in Cina. Si era a metà degli anni Settanta e Mao Tse Tung era ancora vivo. Io e Franca eravamo affascinati da tutto quello che vedevamo. La Cina ci è apparsa come un enorme popolo di ciclisti, milioni di ciclisti... fin dall’alba tutti andavano in bicicletta: quello era l’unico mezzo di locomozione che quel popolo possedesse.
Ti svegliavi alla mattina, andavi per strada e ti trovavi assalito da fiumi di uomini e donne che pedalavano e suonavano campanelli per non tirarti sotto, DIN DIN DIN!, milioni di campanelli trillanti.
Quando io e Franca andavamo intorno per un piccolo centro la gente del luogo si fermava attonita a guardarla, a guardare Franca naturalmente! Non avevano mai visto una donna al mondo abbigliata con tanta eccentricità: Franca vestiva abiti leggeri dai colori vistosi. Era bionda, anzi biondissima.
E i cinesi chiedevano stupiti ai nostri accompagnatori: “Ma chi è quella signora così sgargiante? Senz’altro dev’essere di una minoranza etnica, vero?” Anch’io e la mia minoranza etnica eravamo colpiti dallo stupore per tutto quello che incontravamo: città galleggianti sull’acqua, piccole venezie costruite nelle lagune, la grande muraglia che attraversava tutto un continente, migliaia di guerrieri in terracotta a grandezza naturale che facevano la guardia alla salma dell’imperatore defunto dieci secoli prima, spettacoli di acrobati che sembravano volare davvero nell’aria, flotte di navi con vele di canna intrecciata che viaggiavano su laghi d’acqua nera.
Ma la cosa che ci coinvolse maggiormente fu la scoperta di Lu Xun, lo scrittore poeta amato da Mao Tse Tung che di fatto inventò una scrittura che permettesse a una massa enorme di gente analfabeta, milioni, di scrivere e leggere. Questa scrittura si chiamava semplificata, cioè l’alfabeto non era più quello ridondante e inaccessibile delle classi dominanti ma un sistema di segni che anche un bambino poteva apprendere. E, soprattutto, il linguaggio non era quello di una grande città come Pechino ma il dialetto di una regione molto vasta popolata da gente povera e umile, lo Zhejiang (a Sud di Shanghai e che costeggia l’oceano Pacifico) che è proprio lo stesso distretto dove è sorta la città di Hanghzou quella che, come vi abbiamo detto, oggi ospita l’organizzazione con le azioni più quotate nel mondo.
Si trattava di un immenso territorio ricco di tradizioni popolari.
In questa lingua, Lu Xun ha scritto una grande quantità di racconti, anch’essi tratti dalla tradizione popolare e, fra questi, m’é capitato il colpo veramente di fortuna di potermi leggere in italiano la storia di Qu o Qiu che sta andando in scena qui a Milano al Piccolo Teatro. Naturalmente tratta di personaggi epici della Cina, del tempo in cui nascono i primi movimenti rivoluzionari, nei primi venti anni del Novecento. Storie quasi assurde e cariche di fantasticherie che però stranamente nessuno ha mai pensato di sceneggiare per poi trarne una commedia comica e tragica insieme, come sarebbe stato auspicabile. Ho chiesto intorno a vari intellettuali cinesi che ho incontrato in quel lungo viaggio se ci fosse qualcuno che in quel momento lo stesse facendo. No, gli intellettuali della Cina erano tutti presi da altri problemi: una immediata modernizzazione che Mao Tse Tung non condivideva per niente.
Ed è proprio in quei mesi, nell’ultimo anno della sua vita, che il fautore della rivoluzione cinese pubblicamente dichiarò: “Questa Cina che i dirigenti del mio partito stanno gestendo in modo tanto spregiudicato, fra non più di cinquant’anni sarà una nazione completamente capitalista.”
Roba da far salti mortali all’incontrario, tanto da superare gli acrobati del circo di Pechino.
Ma nessuno ci fece quasi caso, anzi i burocrati al potere esclamavano: “Sono sprazzi visionari di un vecchio giunto ormai al finale di partita”.
Ma il vecchio ahimè aveva colto nel segno. La profezia si è avverata con una rapidità sconvolgente. Oggi, quasi quarant’anni dopo, le biciclette in Cina non ci sono più, roba da museo. Per le strade ci sono macchine in tal quantità che par di essere a New York. La Cina sta inquinando il proprio cielo tanto da raggiungere l’atmosfera delle nazioni più evolute del mondo.
A Shanghai e a Canton ci sono grattacieli da far invidia e crear stupore all’intero mondo occidentale. Come già accennato ci sono banche che sorpassano quelle americane nel giro d’affari. E ci sono gli oligarchi, ricchi in gran quantità. Ma ci sono anche i poveri. Quasi un miliardo di poveri. E all’istante in certe zone un’enorme popolazione di contadini non ha più né terra né casa e tantomeno il minimo per la sopravvivenza.
Devono emigrare, cercare lavoro in città. Ma non sempre vengono accolti fraternamente. Qualche volta vengono scacciati. Le galere sono stracolme, resiste imperterrita anche la pena di morte e il partito comunista è al potere con i propri dirigenti intoccabili. Il paradosso dei paradossi è che ci troviamo con uno stato capitalista ben protetto da un governo assolutamente comunista ALEEEE!
La Cina oggi è la nazione che produce il maggior numero di computer e telefoni cellulari che invadono l’intero mercato mondiale.
I mercanti di abbigliamento e accessori italiani vanno in Cina ad acquistare manufatti falsi replicati dai produttori cinesi e li vengono a rovesciare sul mercato italiano ed europeo naturalmente con l’etichetta Made in Italy ben evidenza.
Tutto ciò ci ha indotto a parlare oggi dei cinesi ma impostando tutta la nostra commedia sullo scritto di Lu Xun. Una storia ambientata al tempo dei primi moti rivoluzionari della Cina come vi dicevo.
Ma abbiamo scoperto, leggendo molte biografie sulla storia di questo grande poeta, che da ragazzo subì un trauma di una violenza inaudita: suo nonno con il quale viveva e apprendeva le leggende del suo paese, venne arrestato, processato e condannato a morte proprio come il protagonista della sua storia.
E a quell’uomo egualmente fu mozzato il capo. Quindi la storia di Qu è una storia autobiografica dove situazioni dramma e politica si possono ben proiettare al nostro tempo.
La messa in scena di questa pièce è opera appassionata e faticosa di Massimo Navone – regista e direttore della Scuola di Teatro Paolo Grassi a Milano. Si tratta di uno sconvolgente visionario che ha avuto la grande fortuna di trovarsi come interpreti un gruppo di trenta fra attori, danzatori, acrobati, musici, scenografi, tutti giovani e provenienti dalle civiche scuole della Fondazione Milano: la scuola di teatro Paolo Grassi appunto, la scuola di scenografia dell’Accademia di Brera, la scuola di musica Abbado con i suoi corsi di jazz, l’Accademia dell’Arte di Arezzo, la scuola di circo 4xquattro e l’officina Zorba per la realizzazione delle maschere.
Così si è riusciti ad allestire un’opera veramente fuori da ogni regola con un protagonista particolare - Michele Bottini - che sembra appena sfornato dalla Commedia dell’Arte.
E’ chiaro che noi di questa banda di teatranti, sul successo di tutta l’operazione, scommettiamo tutto e, in particolare, scommettiamo che non finisce così con due repliche e via qui al Piccolo... ma che faremo l’impossibile, se ci date una mano, perché si vada avanti riprendendo non fra sei mesi come previsto, ma subito, immediatamente. Come diceva un antico saggio: in teatro chi perde il tram poi va a piedi o peggio in ginocchio.
Soprattutto dobbiamo piantarla di dirci preoccupati per i giovani senza futuro, facciamolo adesso questo futuro per i giovani, non dopo, quando è diventato ormai il passato!
STOP così!
Ed ora andiamo senz’altro a incominciare.
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