[STAMPA] Dario Fo e Arlecchino, una coppia “contro”

(30 giugno 2011) Chi non è mai stato moderato né ieri né ora è il premio nobel, il giullare, l’affabulatore Dario Fo. Detto questo, il celebre attore e drammaturgo torna in libreria con uno dei suoi testi più sentiti: Arlecchino. La maschera della Commedia dell’Arte che, con il suo temperamento ondivago, tentennante un’arguzia fuori dal comune unita ad una oscillante sbadataggine che sfiora la stupidità, ha consegnato al suo apparire, nel XVI secolo, uno dei caratteri principali dell’italiano. Con la ricostruzione del testo, curato e tradotto nelle sue parti dialettali da Franca Rame e dai suoi collaboratori, contenente anche gli ormai proverbiali disegni-bozzetti-cartoni del maestro, Einaudi rimette in circolo, in edizione dvd, anche la ripresa dello spettacolo che debuttò in anteprima nazionale al Palazzo del Cinema del Lido di Venezia nell’orami lontano 1985, per le cure del “grotowskiano” Ferruccio Marotti e in occasione dei 400 anni della nascita del personaggio.

Così Fo descrive la sua amatissima maschera:
«Arlecchino era fondamentalmente un amorale. Quelle sue provocazioni suscitarono un successo incredibile; con le sue entrate in scena oscene aveva rotto le normali convenzioni dello spettacolo». Dunque, è un progetto già di spettacolo a venire il lazzo del “personaggio” bergamasco. Il nascondimento è di epoca successiva. Il costume è pezzato ma non losangato che come la maschera arriverà dopo. Le losanghe, infatti, arriveranno con Goldoni, nel 700 più avanzato".

 

FRANCA RAME (a cura di) Dario Fo. Arlecchino,Einaudi Stile Libero, Torino, 2011, pp. 178

 

fonte: ilcittadino.it


Dario Fo: "La Villa Reale è anche mia"

Dario Fo, sollecitato dal Comitato "La Villa Reale è anche mia" interviene sulla questione del complesso monzese e critica la scelta di Regione e Comune di metterla nelle mani di un privato

"Ho assistito alla messa in scena della consegna della chiave della Villa Reale per i ministeri del nord a Pontida e mi è sembrato di assistere a una commedia grottesca, a un vero e proprio sfottò. Risulta evidente che, di fatto, non c’è alcun interesse a salvaguardare la Villa, la sua memoria storica – anche quella tragica del regicidio – e la sua valenza architettonica e culturale. L’unica cosa certa è che la parte centrale della Villa sta andando a finire nel calderone del business: è stata lottizzata, svenduta e consegnata alla speculazione di un privato che ci potrà fare di tutto. È abbastanza facile prevedere che cosa succederà alla Reggia da qui ai prossimi ventidue anni (tanti quanti sono previsti dalla concessione).

La parte centrale, staccata da tutto il resto, si riempirà di qualsiasi cosa possa rendere economicamente al concessionario: dal ristorante, alle presentazioni di marchi, alle convention aziendali, ai negozi e ai laboratori artigianali. Nessuno ci assicura che potrà ospitare manifestazioni davvero degne delle aspettative di tutti: mostre d’arte, il museo della Villa stessa, manifestazioni di grande respiro, come festival culturali. La Villa sarà sì aperta tutto l’anno, ma con la logica del centro commerciale, per i clienti, non per gli utenti di quello che dovrebbe essere rispettato come uno dei beni culturali nobili d’Italia e che, invece verrà snaturato e asservito al business.

Temo lo sfruttamento intensivo che si farà del monumento, l’esperienza ci insegna che gli stucchi, le maioliche, i pavimenti Maggiolini risentiranno della fruizione, basta ricordare la nefasta esperienza della Mostra dell’Arredamento nella Villa.

Il problema serio è che di cultura non c’è nulla: non si fanno musei, non si aprono accademie, anzi, si butta fuori l’Istituto Statale d’Arte, una scuola che ha le sue radici nella biennale d’Arte di Monza – poi trasferita a Milano come Triennale – che ha avuto tra i docenti maestri dell’arte e della cultura, da Marino Marini a Giuseppe Pontiggia, e che continua a dare un contributo importante alla formazione artistica e alle scienze applicate. Purtroppo non c’è da stupirsi: a Brera sta succedendo la stessa cosa, ristoranti e negozi piuttosto che cultura e formazione.

Anche questa ipotesi di metterci dentro i ministeri “padani” è qualcosa d grottesco, una specie di polvere argentata da gettare negli occhi dei creduloni per cercare di recuperare il consenso che si è perso.

Però i cittadini non devono dimenticare che la Villa è roba loro e l’Amministrazione dovrebbe raccogliere fondi per renderla, restaurata e attiva culturalmente, al pubblico, alla collettività."

Dario Fo
22 giugno 2011

 

fonte: vorrei.org


Dario Fo sugli esami di maturità - adnkronos.com

Dario Fo: oggi è un quiz tv da 'prendere o lasciare'

Della maturita' ha un bel ricordo Dario Fo, che ricorda con piacere il suo esame all'Accademia di Belle Arti di Brera: "c'era un coinvolgimento cosi' stretto fra allievi e professori e un'atmosfera che faceva di quell'evento davvero il coronamento di un percorso di studi", racconta all'Adnkronos. "Oggi invece intorno alla maturita' c'e' un senso di esame finale da 'prendere o lasciare', un'angoscia da fine del mondo. Sembra piuttosto che i ragazzi partecipino a un quiz televisivo dove giocarsi il tutto per tutto", sostiene il Premio Nobel per la Letteratura. "Ai miei tempi - aggiunge - l'esame di maturita' non era cosi' carico di tensione, angoscia e disperazione, e soprattutto non era vissuto come una scommessa, qualcosa dove bisognava farla franca. Un clima da gioco al massacro, quello di oggi, che forse non ci sarebbe se ci fosse un reale rapporto profondo tra la scuola e gli alunni. Io ho imparato molto da professori e maestri - sostiene - che si comportavano davvero come degli amici, erano nostri compagni di scuola e ci dicevano che erano loro a imparare da noi. Quella si' - conclude - che era davvero una scuola di vita". Infine, sugli argomenti proposti nella prova scritta di oggi, Fo confessa che "si sarebbe aspettato un tema sul nucleare e invece - conclude -non si sa bene dove sono andati a parare...".

fonte: adnkronos.com