Il Teatro di Dario Fo e Franca Rame

Il teatro di Dario Fo e Franca Rame

Torna in scena "COPPIA APERTA QUASI SPALANCATA" di DARIO FO E FRANCA RAME

La coppia e i suoi luoghi comuni sono al centro dello spettacolo COPPIA APERTA QUASI SPALANCATA di Dario Fo e Franca Rame, per la regia di Eugenio de’ Giorgi, interpretato da Alberto Faregna e Dominique Evoli. L’Associazione Teatrale Duende di Milano riprende uno dei testi più famosi e dissacranti del premio Nobel, scegliendo di giocare con il luogo comune per eccellenza della contestazione antiborghese: quello della - teorica - libertà assoluta nei comportamenti sessuali della coppia. È la storia grottesca di due coniugi alle prese con un matrimonio che sta andando alla deriva: la “coppia aperta” è un'invenzione del marito per giustificare le sue infedeltà di immaturo, vanaglorioso Don Giovanni, con comico strazio della moglie ridotta a maldestri tentativi di suicidio. Fino a che di questi vantaggi gode il maschio tutto bene, ma cosa succede quando la donna, superate le iniziali ritrosie, decide di prendersi la sua parte di libertà? “Coppia aperta quasi spalancata - scrive il regista Eugenio de' Giorgi - è un testo straordinario sulla relazione di coppia. Dopo vent’anni non è cambiato per niente. Si finge una parità, una normalità, ma le conquiste delle donne e il rapporto con l’altro, sono sempre al limite. Non a caso i matrimoni sono in forte calo, ed i rapporti sono più che mai aperti. È un bene? un male? Non è questo il problema.”Sono passati un po' di anni dalla prima rappresentazione di questo testo, eppure la forza e l’attualità di quest'opera sono più che mai evidenti. “Una cosa che adoro – prosegue il regista - del teatro di Fo e Rame è la forza del linguaggio popolare ed il messaggio sempre attuale e ironico.”

Dal 19 al 29 maggio 2010
Teatro Olmetto – Associazione Teatrale Duende
COPPIA APERTA QUASI SPALANCATA
di Dario Fo e Franca Rame
regia di Eugenio de' Giorgi
con Alberto Faregno e Domenique Evoli

PREZZI BIGLIETTI:
Intero: 19.00 €
Ridotto under 26 e convenzionati: 15.00 €
Ridotto over 60 e allievi TP (con carta TPCLUB): 11.00 €
TP CARD (solo per la 1° e la 2° replica, tutte le Serate Allievi ove programmate): 2.00 €

ORARIO SPETTACOLI:

Lunedì – Sabato:  ore 21.00
Domenica: ore 16.00
Riposi:  25 maggio.                           

ORARIO BIGLIETTERIA

Lunedì – Venerdì:  15.00 – 19.00
Sabato:   19.00 – 21.30
Domenica:       14.00 – 16.30
Biglietteria serale nei giorni di spettacolo: 19.00 – 21.30

 


Il vescovo di Assisi riesce a impedire a Dario Fo di recitare un testo su Giotto di fronte alla basilica.

Ancora una volta un malinteso senso del sacro porta le gerarchie ecclesiastiche a praticare la censura.
Lo spettacolo che avrebbe dovuto essere rappresentato ad Assisi, tra il 2 e il 5 giugno avrebbe certamente fatto scandalo. Ma non dal punto di vista religioso. Dario Fo aveva intenzione di portare il suo nuovo spettacolo che dimostra che una convinzione molto diffusa è errata.
I dipinti della basilica superiore attribuiti dai libri di scuola a Giotto non sono di Giotto.
E la cosa interessante è che oltretutto la rappresentazione aveva avuto l’appoggio dei frati francescani di Assisi, anch’essi dell’opinione che quei dipinti straordinari siano da attribuire ad altri grandi maestri del tempo.
Su questa tesi Dario Fo ha costruito una lezione-spettacolo divisa in 3 serate, un tempo indispensabile per argomentare la propria tesi basandosi su diversi particolari storici e tecnici. In particolare il fatto che ogni scuola da quella Romana a quella Toscana si avvaleva di una tecnica pittorica particolare e diversa, nonché di sagome fisse e articolate in modi differenti per riprodurre il disegno.
Tutti questi elementi tecnici procurano una specie di impronta digitale nascosta dentro il dipinto, impronta che ci assicura come nella navata della Basilica Superiore di Assisi Giotto non abbia partecipato con un proprio gruppo all’esecuzione degli affreschi se non come semplice assistente o allievo.
Ma l’importanza culturale dell’opera che si voleva rappresentare e il sostegno del sindaco di Assisi Claudio Ricci non sono riusciti a convincere il vescovo Domenico Sorrentino a ritirare il suo veto.
Vanno bene le canzonette di fronte alla basilica di San Francesco, vanno bene le ragazze danzanti e perfino i numeri da cabaret ma, per favore, niente storia dell’arte!
Incredibile, che nel 2009, in Italia si vieti a un premio Nobel di parlare di pittura di fronte a una chiesa.

Lo spettacolo Giotto o non Giotto sarà rappresentato in luglio il
2-3 Cesena alla Rocca Malatestiana
8-9 Firenze di fronte alla basilica di Santa Croce
24-25 Perugia nella piazza di San Francesco in Campo

dal blog di Jacopo Fo


Mario Pirovano in Mistero Buffo di Dario Fo

13 febbraio 2009 ore 21.00
Teatro Creberg, via Pizzo della Presolana (BERGAMO)

Mario Pirovano in Mistero Buffo di Dario Fo
LO SPETTACOLO CHE HA SEGNATO IL TEATRO DEL NOVECENTO
La fame, il potere, l’ingiustizia, l’innocenza raccontati attraverso una comicità straripante, che non perde mai di vista la tradizione né l’attualità.
I Vangeli raccontati come mai prima d’ora.

Mario Pirovano si esibisce nello spettacolo più famoso di Dario Fo, uno straordinario impasto comico-drammatico ormai considerato un classico del '900.
La ricchezza del testo e le capacità istrioniche di Mario Pirovano riescono a trasportarci nella dimensione delle farse medievali provocatorie e dissacranti, e nella comicità viva della Commedia dell'Arte.
Le quattro giullarate che l'attore ci presenta, sono tra le più appassionanti del "Mistero Buffo":
"La fame dello Zanni" racconta la storia di una fame atavica attraverso sproloqui e contorsioni da funambolo.
"La Resurrezione di Lazzaro" è la descrizione parodistica del miracolo più popolare del Nuovo Testamento, vissuto come grande happening del tempo.
"Il Primo Miracolo di Gesù Bambino" costituisce il poetico racconto tratto dai Vangeli apocrifi: come il piccolo Jesus, che fa volare gli uccellini di argilla fatti dai compagni, reagisce alla prepotenza di chi glieli distrugge.
"Bonifacio VIII" ci presenta il Pontefice prima nella magnificenza della sua vestizione, poi nel suo incontro-scontro con Gesù. Classico anacronismo medioevale, teso a sottolineare l'immensa differenza tra i due.

In questa pièce Pirovano realizza uno spettacolo dal sapore beffardo e profetico che, attraverso il genio di Dario Fo, ci ricollega alla tradizione del teatro popolare risalente al Medio Evo, È stato Dario Fo a raccogliere per anni documenti di teatro popolare di varie regioni italiane ed a ricostruirli in uno spettacolo omogeneo in cui le capacità mimiche dell'attore sono il mezzo principale dell'espressione teatrale.

L'Accademia di Svezia, conferendo il Premio Nobel per la Letteratura a Dario Fo nel 1997, così motivava la sua scelta: "A Dario Fo... che nella tradizione dei giullari medievali fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati. (...) Se c'è qualcuno che merita l'epiteto di giullare, nel vero senso della parola, questo è lui. Il misto di risa e serietà è il suo strumento per risvegliare le coscienze sugli abusi e le ingiustizie della vita sociale.(...) La tradizione non-istituzionale gioca un ruolo determinante nel teatro di Fo. Spesso fa riferimento ai giullari (joculatores) medievali, alla loro comicità e ai loro misteri. L'opera centrale "Mistero buffo" del 1969 si basa su vecchie fonti interpretate da Fo nella sua chiave personale.”

IL NUOVO CORRIERE ARETINO Novembre 2008
Straordinaria è anche l’interpretazione di Mario Pirovano che su un palcoscenico vuoto crea scenografie mirabili e che, pur dovendosi confrontare con modelli davvero impegnativi come Fo, regge eccellentemente il confronto con note che rendono del tutto personale ed emozionante, oltre che divertente, la sua interpretazione. FRANCESCA PASQUINI

Aprile 2008
Mario Pirovano è riuscito a creare senza il supporto di alcuno scenario né musica due ore di autentico teatro, grazie alla sua forza di grande affabulatore legato al passato, attento al presente e con un occhio verso il futuro. ANNA VALLARINO

La Nuova Ferrara 28 Febbraio 2006
Il modo di fare teatro di Pirovano, lontano dalla concezione classica ma molto vicino alla capacità di improvvisare sul testo, lo pone nel panorama teatrale italiano tra i più grandi e capaci attori di narrazione. VINCENZO IANNUZZO

Biglietti
I settore € 25.00 + diritto di prevendita
II settore € 20.00 + diritto di prevendita
III settore € 15.00 + diritto di prevendita

Nei punti vendita TICKETONE e Sportelli del CREDITO BERGAMASCO, a fronte del servizio offerto, il diritto di prevendita (del 10%) viene maggiorato di € 1,50.

Creberg Teatro Bergamo:
Via Pizzo della Presolana – Bergamo - Tel. 035 34.32.51
http://www.crebergteatro.it

Biglietteria Teatro:
da mar. a sab. dalle ore 11.00 alle ore 18.00
e dom. dalle 11.00 alle 13.00

Biglietteria Teatro Donizetti
Piazza Cavour, 15 – Bergamo - Tel. 035 41.60.611

Credito Bergamasco
In tutte le filiali del Credito Bergamasco è possibile acquistare i biglietti. Info: www.creberg.it


STRALCIO DALLA BIOGRAFIA DI FRANCA RAME

Nel cielo, alta, sta una luna esagerata.
e' settembre.
Da fuori viene un’aria ancora tiepida.
Numerose stelle producono un chiarore opaco.
Il  giorno e' lontano.
Mia madre sta morendo.
Sto seduta su una poltrona, la testa appoggiata ad un cuscino, ma non riesco a dormire. Gli occhi mi bruciano, ma non ho sonno. Sono rientrata da poco. Stasera al teatro Odeon ho recitato “Tutta casa, letto e chiesa”, senza seguire quello che andavo dicendo: come si dice, recitavo con il secondo cervello. L’altra parte era in questa camera.
Mi appoggio meglio alla poltrona.
Ho posato in grembo il latte detergente per lo strucco. Me lo passo sul viso con i cleenex, con sospiri lunghi. Di quelli che ti sconquassano l’anima.
Sto vivendo questo momento come non capitasse a me. La guardo. Lei e' li' che sta faticando a morire.
Un rantolo costante da giorni ci segue in ogni stanza.
La sua mano, che tengo piu' che posso nella mia, e' tiepida… se non fosse per quel respiro strozzato che le esce e le labbra spaccate per l’arsura, potrebbe sembrare una bellissima anziana signora addormentata.
“Si', mamma, ora te le inumidisco” … mi viene normale parlarle come mi sentisse. Da una tazza prendo la garza intinta nell’acqua, delicatamente gliela passo sulle labbra. Sulle gengive. Qualche goccia sulla lingua. Mi sembra che ne succhi un po’. Chissa'.
“Sono qui, mamma. Sono qui, dammi la mano”.
La casa dorme. Anche l’infermiera della notte riposa.

In questi solitari silenziosi momenti, il pensiero fa salti qua e la' nella nostra vita. Penso sia una cosa normale: come tirare le somme, mettere  in fila i ricordi. Il passato ti viene davanti a saltelloni, il bello e il brutto, sorridi e ti rattristi in un attimo… tutto corre veloce.
Sento mamma che mi racconta della sua infanzia: “Che ragazzina generosa la Sgarbina, figlia del nostro droghiere… quando andavamo da lei subito si  metteva una caramella in bocca, la succhiava un po’, poi ce la regalava.”
Mi vedo la scena con un sorriso. Che m’e' venuto in mente?
La mia famiglia.
Non ho conosciuto nessun nonno e da piccola invidiavo le bambine che li avevano.
Cerco di immaginare mia madre tra i suoi. Il padre ingegnere del comune di Bobbio, la madre casalinga. Undici figli: sette femmine, quattro maschi. Poveri come l’acqua, dignitosi, di classe sociale intermedia, ma con troppe bocche da sfamare e da far studiare. Maschi e femmine non potevano mai uscire tutti insieme:   mancavano le scarpe.
L’Emilia, la mia mamma, a 17 anni diventa maestra. Per quei tempi era una conquista sociale. La mandano a insegnare in una scuola sperduta in montagna, ad una ventina di chilometri dal suo paese. Viene ospitata da un cugino prete, appena uscito dal seminario, grassottello e gentile. Il giovane prete si innamora perdutamente di lei. Don Celeste, cosi' si chiamava, cerca aiuto nelle preghiere e nel digiuno. Ma il Signore e' distratto e non gli tende la mano. Disperato, balbettando il giovane si rivolge a Emilia: “Devo farti una confessione. Ho deciso di lasciare la parrocchia e spretarmi”. “Hai perduto la fede?” - chiede sconvolta la ragazza. “Si', ma in compenso ho guadagnato te. Ti voglio sposare!” E cosi' dicendo, tenta di baciarla. Vola un ceffone sul facciotto pallido dell’impunito, e quasi soffocando per l’indignazione, l’angelica maestrina apostolica fervente praticate, se ne torna a casa dai genitori, a piedi, che era gia' scuro… e c’era pure la neve.
Quanto fervore nella tua voce quando torni a raccontare di quel momento… quanta indignazione, mamma. Dopo tanti anni nella tua testa, e' sempre come fosse ieri: un ricordo indelebile.
Fotografia mai ingiallita.
Credo sia stato l’unico momento “vergognoso” come lei lo definisce, della sua vita.
“Ma mamma, quel povero prete, in quel paesino sperduto in montagna… potevi anche darglielo un bacino…” le dicevo ridendo.
“Mai! Si vergogni!”
“Ma mamma, chissa' da quanto e' morto!” “All’inferno! Sara' certamente all’inferno!”
A 85 anni, e non era la prima volta, a Cesenatico, mi chiede di confessarsi. Dario, in bicicletta va a chiamare il prete. Lo vedevamo tutte le estati, sempre a confessare mamma'. Aperto, intelligente, un buon cristiano. Li lasciavamo soli, nel portico protetto da zanzariere. Parlottavano per una mezz’oretta. Lei, seduta, compunta, seria, con gli occhi bassi come bruciasse ancora di vergogna per tanta offesa. Lui, con la bocca piena di biscotti sorseggiando il the,  la rincuorava.
Li spiavo sciogliendomi di tenerezza.
Quando usciva gli chiedevo: “Ha visto che peccati tremendi ha fatto la mia mamma? E’ sempre quello, eh? Il povero pretino… e il ceffone…” Lui, intascando l’offerta per la chiesa, se ne andava ridendo.
In bicicletta.
Foto della famiglia Rame

Foto famiglia Rame

In quel tempo arriva, in quel di Bobbio, un giovane si' e no di vent’anni, si chiama Domenico Rame, di professione "marionettista girovago" con il suo carro, il fratello Tommaso, la sorella Stella, il padre Pio, grande estimatore di Garibaldi tanto da portare una barba come la sua. Infatti, l'unico ritratto in nostro possesso lo raffigura vestito e somigliante all'eroe dei due mondi!
Nella cittadina di Bobbio l’arrivo delle marionette doveva essere certamente un evento. Emilia incontra il giovane marionettista Domenico Rame, il mio papa', a un gran ballo: quello di Carnevale.

Il fatidico incontro
Io me la vedo, mia madre signorina, che attraversa il gran salone con le colonne, delicata e sinuosa, di una bellezza sconvolgente.

Eccole… entrano tutte insieme le sette sorelle Baldini con costumi d’epoca cuciti da loro stesse: si fa un gran silenzio. Le ragazze camminano ridendo sotto lo sguardo attento di tutta la famiglia, i maschi presenti restano folgorati da tanta belta'.
Anche mio padre era bello. Indossava un costume azzurro…
“…E mi ha invitato a ballare sette volte. E mi stringeva anche!” assicura mia madre, illuminata dal ricordo e per nulla imbarazzata da tanto ardire.
Lui le dice subito: “Sono un marionettista.”
Lei scoppia a ridere convinta sia una boutade. “Mi creda, sono veramente un marionettista… anzi, voglio fare una marionetta che assomigli perfettamente a lei… cosi' non la potro' dimenticare!”.
Fatto sta che entrambi sono rimasti letteralmente fulminati uno dall’altra.
Domenico, finita la stagione in quel di Bobbio, smonta il teatrino con i suoi e se ne va. Lei rimane sospesa come una marionetta per i fili… e dondola senza vita.   
Dopo un anno di lettere d’amore mio padre torna. Si sposano con grande scandalo della famiglia e del paese. Eh si', perché tutte le altre sorelle erano fidanzate con tipi ben piazzati, il professore, il giudice, il direttore di banca. Lei no: si va ad innamorare di un marionettista, col suo carro e senza fissa dimora. Altro che scandalo!

La mia mamma
Bella, giovane, innamorata, cerca con tutte le sue forze di adeguarsi alla nuova vita, tanto diversa da quella che aveva condotto sino a quel giorno. Aiuta la famiglia come puo'. Non sa manovrare le marionette, ma si ingegna a cucire vestiti, e rinnova tutto il guardaroba dei pupazzi di legno.
A pensarci pare una favola.
E’ molto orgogliosa di quello che fa. Piu' avanti, dira' qualche battuta doppiando le marionette. Era appena finita la guerra, c’era la crisi, un sacco di operai disoccupati, scioperi e disordini, cariche di polizia, arresti e processi. Mio zio era socialista militante, partecipava ai comizi e organizzava manifestazioni di protesta. Perfino il programma degli spettacoli era cambiato.
Era la prima volta che si assisteva a commedie di marionette dove si raccontavano storie di lotta di classe. Le Mondariso di Novara in sciopero, con Gianduia carabiniere che scopre un intrallazzo organizzato dai proprietari terrieri con l’intenzione di boicottare lo sciopero e far credere che dei delinquenti comuni siano gli organizzatori della protesta sociale.
Sempre con le marionette, i Rame riuscivano a mettere in scena la storia di Cola di Rienzo, che fonda la prima Repubblica libera Romana e Arnolfo da Brescia che lotta per l’autonomia dell’universita' e viene condannato come eretico al rogo. Succedeva spesso che alla fine delle rappresentazioni il pubblico si alzasse in piedi e cantasse addirittura l’Internazionale. Percio', c’era da aspettarselo, ebbero grane con la polizia. Furono chiamati in questura dove il commissario capo diede loro l’avvisata: “Vi consigliamo di cambiare programma perché alla prossima di queste bravate vi arresto con tutti i vostri attori”. “Attori? Ma noi abbiamo solo marionette! “Appunto: arresteremo le marionette”.
Con l'avvento del cinema (1920) i fratelli Rame intuiscono che "il teatro delle marionette" sara' presto messo in crisi, schiacciato da questo nuovo straordinario e anche un po’ magico mezzo di spettacolo. Con grande dolore del nonno Pio, decidono un cambiamento radicale del loro programma e condizione: “Reciteremo noi i nostri spettacoli,  entreremo in scena noi al posto  delle marionette".
Cosi' mio padre con l’Emilia, la zia Stella, lo zio Tommaso con la moglie Maria, nuova recluta della compagnia, si sostituiscono ai pupazzi di legno (vere e proprie sculture snodate, tre delle quali sono esposte al Museo della Scala di Milano). Hanno scelto i testi, li hanno provati e riprovati, si son procurati i costumi e i fondali dipinti per loro da un amico scenografo della Scala, Antonio Lualdi, e debuttano in un teatro: il teatro di persona, e lei, la mia mamma, diventa la prima attrice. Un'attrice che di giorno tirava su i figli, li aiutava a studiare, si occupava della casa come  una  piu' che provetta casalinga a tutti gli effetti, teneva l'amministrazione  della compagnia come fosse quella di un normale me'nage familiare. E alla sera, salendo sul palcoscenico, eccola trasformarsi in Giulietta e Tosca, e la Suora Bianca dei “Figli di nessuno”, e la Fantina de “I Miserabili”, tutti ruoli che via via, anche noi figlie e cugine, abbiamo poi interpretato. Mi vedo a percorrere  l'apprendistato dei teatranti recitando tutti i ruoli che crescendo erano adatti alla mia eta', maschili o femminili che fossero.
Il  vantaggio della compagnia di mio padre rispetto alle altre compagnie di giro, (cosi' si chiamavano le piccole compagnie di provincia) era l'invenzione di impiegare tutti i trucchi scenici del teatro fantastico delle marionette, nel "teatro di persona": montagne che si spaccano in quattro a vista, palazzi che crollano, un treno che appare piccolissimo lassu', nella montagna e che  man mano che scende entrando e uscendo dalle gallerie, s'ingrandisce fino ad entrare in scena con il muso della locomotiva a grandezza quasi naturale. Mari  in tempesta, nubi che solcano minacciose il cielo tra lampi e tuoni, gente che vola, scene in tulle in proscenio, che illuminate a dovere ti facevano vedere come era fatto il paradiso.
Insomma tutti gli espedienti tecnici dell'antico teatro seicentesco dei Bibbiena, che viveva ancora, dentro la scenotecnica delle marionette.
Soltanto che in quel teatro tutto era stato miniaturizzato, si trattava adesso di eseguire una operazione da Gulliver alla rovescia: da minuto che era all’origine, ingrandire ogni oggetto, aggeggio, marchingegno fino a renderlo simile alla realta'.
In questa nuova veste, i miei realizzano un successo insperato. Senza quasi rendersene conto, i Rame avevano compiuto un vero e proprio salto mortale dentro l’antico teatro dell’Arte, riportando alla luce macchinerie, cambi di scena rapidi e a vista, effetti fantasmagorici dimenticati. La gente viene ad assistere ai nostri spettacoli con lo stesso spirito dell’andare in giostra, con grida, risate e spaventi.

La vita era bella. Si lavorava, 363 giorni l’anno. Si riposava solo il venerdi' santo, e il 2 dei morti, a novembre, o se c'era il funerale di un defunto importante del paese: il prefetto, il podesta', il prete, il dottore, il farmacista. La domenica, la compagnia si divideva in due e si faceva  doppio spettacolo, pomeriggio e sera.
Mio padre, il capo, con il ruolo di primo attore, manager P.R.; lo zio Tommaso, drammaturgo-poeta di compagnia nel ruolo dell'antagonista o del comico-brillante a seconda delle commedie; le mogli, i figli, gli attori scritturati, i dilettanti, gli amici componevano la nostra compagnia. Giravamo cittadine, paesi e borghi del nord Italia su di una corrierina che chiamavamo "Balorda" a causa del comportamento bizzarro che mostrava: il suo era proprio un motore a scoppio, ogni tanto addirittura esplodeva, sparava acqua bollente, fumi con sussulti e gemiti. Insomma, un’auto da guitti magici. Quel comportamento, piu' che ad un carattere folle, era forse da attribuirsi agli anni. In alcuni paesi  a monte nei quali ad una certa ora del giorno si transitava, nei tourniché particolarmente ripidi, lei, la vecchia signora,  non ce la faceva proprio. C'erano sempre dei ragazzi che ci aspettavano. Ci spingevano fra tante risate, poi la sera ci raggiungevano ed entravano a godersi lo spettacolo gratis. "Siamo quelli che abbiamo spinto la Balorda". "Passate".
Mio padre, amava quel prototipo meccanico primitivo, e zingarone com'era, gioiva tutto nel vedersela rilucente di colori sgargianti. Mia madre, la maestrina-cattolica-di buona famiglia ogni volta che lui le cambiava colore: "Non sposeremo mai le nostre figlie!" lamentava col pianto in gola. "Hai ragione Milietta… domani rimedio. La tingero' di un colore piu' sobrio". E l'indomani quando "Milietta" si affacciava in cortile, ecco la Balorda ridipinta: d’argento!
Emilia lanciava un grido, poi bisbigliava: “Per sistemare le nostre figlie non ci resta che metterle all’asta con le svendite di fine stagione”.

Cos’e'?… m’ha stretto la mano?… Trattengo il fiato. Giro appena la lampada del comodino. No, mi e' solo parso… Ma forse… Che debbo mai aspettarmi, in che spero? Ha 88 anni, e' in coma profondo da oltre 20 giorni.
Fuori e' ancora buio. Guardo l’ora. E’ passato poco tempo e mi pare un’eternita'.

Stava per finire la guerra. Nella nostra zona bombardamenti pesanti non ne avevamo subiti. Qualche bomba sulla fabbrica di aerei: la Macchi, alla periferia di Varese, a Masnago.
Proprio a Masnago ricordo una notte che si stava tornando a casa dopo lo spettacolo, veniamo fermati, sia noi che tutti quelli che  transitavano per quella strada dopo di noi, da un gruppo di fascisti e SS. Ci hanno fatto entrare in un cortile, (era quello dove abitava uno dei nostri dilettanti, chiamato "Luigino-Cassa-da morto”, perche' suo padre le fabbricava) la', siamo stati bloccati per ore. Solo intorno alle 7 ci hanno lasciati andare.
Non e' stato per niente drammatico, per noi giovani. Dopo poco la serieta' degli adulti l’abbiamo  cancellata. L'aria, era di festa. La mamma del Luigino-cassa-da-morto, ci aveva offerto qualcosa da mangiare. Si parlava, si rideva nonostante i tedeschi e i  fascisti con i loro mitra, giu' nel cortile. “E’ arrivata altra gente… stanno fermando tutti.” Cominciamo ad avere sonno, si parla e si ride di meno, qualcuno s’e' addormentato.
Sarebbe, questa strana notte, finita in tragedia se col mattino fosse arrivata  la notizia del fallimento di una missione tedesca. Ci avrebbero fucilati tutti. L'abbiamo saputo qualche giorno dopo, da Lunardi, un prestigiatore fantastico amico di mio padre, che bazzicava in ambienti fascisti.
L'abbiamo scampata!
Altre volte, capitava che ci fermassero dei partigiani. Non dicevano "siamo partigiani" ma erano in borghese con i mitra: "signor Rame, ci da' un passaggio?" Ci stringevamo e li facevamo salire e via che si riprendeva a cantare. Piu' avanti, a volte capitava di essere fermati da  una pattuglia di  fascisti, non chiedevano i documenti, ci conoscevano. Avevamo un permesso speciale per girare con il coprifuoco. "Buona sera signor Rame. Com'e' andata?"
Il cuore si fermava per un attimo. "Benissimo! Grazie." "Buona notte” "Buona notte”. Ce ne andavamo riprendendo a cantare col fiato che si strozzava in gola. I partigiani cantavano piu' forte di tutti.

Risalgo dai miei pensieri quasi con un sussulto: e' Dario che mi ha baciato sulla fronte
 “Come va?” “Bene, dorme…” Non mi veniva  di dire: non risponde piu', e' in coma.
Dario mi da' un altro bacio. “Va a dormire, ci sto io”. “Non ho sonno…” Come se ne va mi metto a piangere. Che momento orribile. Appoggio la testa allo schienale della poltrona, poi mi rimetto dritta. Non voglio addormentarmi.
Foto famiglia Rame
Al funerale, durante la messa, ho continuato il tragitto nella mia vita, passata con la mia famiglia. E’ un bel modo per ammazzare le ore. Per non pensare...
"E' ora che Franca incominci a recitare, ormai e' grande”. Avevo 3 anni. E’ mia madre che parla. Me la ricordo mentre mi insegnava la parte: "bocca a bocca", cosi' si diceva a casa mia, parola per parola come in una litania. Aveva deciso (era sempre lei che prendeva le decisioni importanti in  famiglia) che avrei fatto un angiolino di supporto all'angelo vero, che veniva interpretato da  mia sorella Pia in "La passione del  Signore" atto quinto, Orto dei Getsemani.
"Pentiti Giuda traditore che per trenta monete d'argento hai venduto il tuo Signore! Pentiti! Pentiti!” iniziava Pia e io  dovevo ripetere gridando a piu' non posso la stessa battuta: “Pentiti! Pentiti! Giuda traditore che per trenta monete d'argento ha venduto il suo Signore!”
Non era una gran parte, non ci devo aver messo  molto  ad impararla. "Ripeti!" e ancora e ancora "ripeti" diceva la  mamma  paziente mentre pelava le patate per il minestrone. "Ripeti!"
Mia madre per i suoi figli era ambiziosissima.
Per l'occasione mi aveva cucito un bellissimo abito bianco da angelo, con due grandi ali bianche e oro appoggiate sulle spalle. Seppur credente non  andava  mai in chiesa ma lei, lo sapeva benissimo che gli angeli erano vestiti cosi'! Mio padre, ormai entrato nel gioco, mi fabbrico' una coroncina di lampadine, che grazie  a una pila infilata nelle mutandine, si accendevano. Come in un rito sollevo' la coroncina e me la pose in testa.
Arriva l’ora d'andare in scena e tutti: "Ma che bell'angiolino! Ma che bel vestito!" La mia mamma faceva andare la coda e io, li' pronta con le mie ali e le lampadine in testa, a ripetere la battuta. Non mi avevano fatto fare nessuna prova. Sapevo solo che ad un certo punto avrei dovuto seguire mia sorella Pia nell'entrata in scena ed ad un segnale della mia mamma sistemata in quinta avrei dovuto gridare "pentiti-pentiti…".
Il guaio, l'imprevisto che piu' imprevisto di cosi' non si poteva immaginare, fu che il personaggio di Giuda era interpretato da mio zio Tommaso, un uomo che avevo sempre visto calmo, sorridente, che a noi bimbi raccontava storie bellissime. Volevo molto bene a mio zio, e vedermelo li', proprio vicino-vicino, con una parruccaccia nera in testa… gli occhi che  lanciavano saette tra un minaccioso tuonar e lampeggiar nel cielo… che disperato gridava: "Possano i corvi divorarmi le budella, le  aquile   strapparmi gli occhi!" e altri animali che non ricordo "mi divorino un pezzetto alla  volta ad incominciare dalla lingua", mi fece un terribile effetto. Mamma mia che spavento! Cosa stava capitando?! Ero stravolta, me lo ricordo benissimo. Ma quello che mi butto' completamente fuori, fu il vedere mia  sorella, solitamente rispettosa ed educata, che per nulla intimorita  gliene stava dicendo di tutti i colori! Una sfuriata in piena regola che trascinava il nostro povero zio in una disperazione sempre piu'  nera. "Ma cosa sta capitando? Perche' lo zio Tommaso fa cosi'?" Il groppo  che mi sentivo in gola stava per scoppiare. Mia madre dalla quinta mi faceva gesti piu' che perentori, le sue labbra ripetevano “péntiti, péntiti”. Giuro che avrei  potuto dire la mia battuta, ma non me la sentivo proprio di rincarare la dose. No, io no, allo zio Tommaso non dico proprio un bel niente! Non so cosa gli sia capitato, poverino. Forse e' impazzito.
A piccoli passi, camminando come pensavo camminassero gli angeli, seppur spaventatina, gli sono andata vicino, lui era in ginocchio e gridava piu' che mai… proprio fuori di testa. Dio che pena! Senza dire una parola mi sono arrampicata al suo collo e l'ho abbracciato, tempestandogli la faccia di baci. Insomma cercavo, con i mezzi che avevo a disposizione, di calmarlo e piangevo nel silenzio che era calato in palcoscenico.
Pia era ammutolita. In quinta mia madre faceva segnali che non prospettavano niente di buono.  Lo zio-Giuda si blocca per non piu' di sette secondi, giuro, poi con voce profonda (intanto con la mano solleticava la mia  e con gli occhi mi rideva per tranquillizzarmi) recita rivolgendosi al cielo: “Dio, sei grande! A questo orrendo peccatore mandi il conforto... un  piccolo angelo… mi tendi la mano… No, no, non me lo merito!” e , dal momento che lo spettacolo doveva pur terminare, taglia corto “M'impicco! Dov’e' il grande fico, albero della vergogna? M’impicco!!” Deve usare un po' di forza per liberarsi da me  che proprio non ne voglio sapere di lasciarlo andare ad impiccarsi. Cosa vuol dire impiccarsi? Non lo sapevo ma ero certa fosse una cosa brutta. "L'albero   piu' alto… dov'e' l'albero piu' alto… Lasciami andare angiolino… Lasciami.." e con un urlo agghiacciante esce di scena. Mia sorella (l'unica volta nella sua vita, credo) non sapendo piu' che fare, camminando sulle punte, immediatamente lo segue. Grande applauso.
Tutti mi chiamano dalla  quinta con grandi cenni. Non so se la paura d'essere sgridata o il senso del dovere che, maledizione, da che sono nata e' li', a infastidirmi la coscienza, fatto si e' che dopo un attimo di silenzio, raddrizzandomi la coroncina di lampadine che nel trambusto stava per cadermi, con voce chiara e mesta, quel tanto che serve dico: “S'impicca! Non s'e' pentito… Giuda traditore che per trenta monete d'argento ha venduto il suo Signore… Non s'e' pentito!" e via che esco.
Ce l'avevo fatta: l'avevo detta tutta! Non so se mi abbiano detto qualcosa… so solo che da allora in poi, "La passione del Signore" ha sempre avuto due angiolini, con il piu' piccolo che abbraccia Giuda a mostrare la grandezza di Dio.
E tutti giu' a piangere.

Sorrido, mentre il prete finisce la messa.
Hai vissuto 88 anni, mamma.
Ho cercato di darti il meglio che ho potuto. Dedizione.
Rispetto.
Tempo.
Amore.
Tanto!
Sono serena.
Ciao cara.
Buon riposo mamma.

E’ il 4 ottobre, 1981. San FRANCESCO.

Franca Rame


La Svezia dedica una serie di francobolli a Dario Fo

I francobolli con Dario Fo

Oggi la Svezia ha emesso un francobollo recante sopra il viso di Dario.

L'edizione è andata completamente esaurita in poche ore.

Visto che in Italia non interessa a nessuno cercheremo di creare in Svezia un museo che raccolga scenografie, costumi, bozzetti, video, foto, regstrazioni, quadri e documenti raccolti da Franca in 50 anni.

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E a proposito di Italia, vi invito ad aderire alla campagna di Beppe Grillo in difesa della libertà di blog (!!!!)

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