C’è chi dice che il nostro Premier sia un esempio di personaggio carismatico. Secondo il dizionario De Mauro, il carisma «nella teologia cristiana è dote soprannaturale, la virtù profetica, l’infallibilità, il parlare in lingue diverse e simili... concessa da Dio a un fedele per il bene della comunità ». Ma che cosa succede quando un leader di questo genere - carismatico o no, questo ce lo dirà lei Fo - ruba la scena? Diciamo subito una cosa: c’è una doppia origine di questa situazione. Una è la preparazione del pubblico che poi assisterà allo spettacolo.
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Non sto parlando dello spettacolo teatrale, ma dello spettacolo della realtà, cioè di quello che succede nella realtà vera e propria. I mezzi di informazione oggi - dalla radio alla tv, a internet eccetera - sono veramente straordinari.
Da alcuni anni c’è stata una grande mutazione nel linguaggio, nel modo di comunicare i fatti. E poi ci sono le realtà inventate, i realitiy, che non sono altro che la rappresentazione quasi vera della vita. Sono tutte situazioni create ad hoc tipo “Il grande fratello”, “L’isola dei famosi”, in cui ragazzi, e soprattutto ragazze - e questa è la parte dura - vengono buttati gli uni contro gli altri, portati all’odio reciproco, al risentimento, alla tensione, un po’ come in un combattimento di galli o di cani.
Ecco, tutto ciò, con i giochi a premi del tipo “Affari tuoi”, serve a illudere la gente di poter uscire facilmente dalla propria situazione. Basta un po’ di fortuna: si vincono un sacco di soldi, si diventa personaggi. Sono rimasto meravigliato quando ho saputo che le persone che partecipano alla trasmissione “Affari tuoi” stanno lì intere settimane e imparano le tecniche televisive: come muoversi, come guardare la telecamera, eccetera. Si allenano per quando arriverà il loro momento, per quando scatterà la loro ruota della fortuna per diventare “protagonisti” della puntata.
Questo è il messaggio. Un insegnamento orrendo e bugiardo che ha a che fare con il successo in politica di un uomo come Berlusconi, un simbolo che viene portato a esempio agli italiani per mostrare come si può arrivare al successo, come si arriva a fare quattrini. Berlusconi così arriva addirittura a dettare il comportamento: come truccarsi, come camuffarsi da giovane essendo vecchio, raccontando che è guarito da una malattia grazie alla forza di volontà. È un satrapo straordinario della politica. E tutto quello che dice viene creduto. Ma è giusto così! Lui è il principe, è il duca, è l’imperatore!
È il principe o è il messia?
No, no, è il principe, anche se poi farà anche miracoli... Tutto è teso a realizzare un personaggio prima che entri in scena. Cioè, lui è già personaggio e ha già la possibilità di dire: Sì, è vero, sono furbo, sono scaltro, rubo, falsi fico, corrompo, faccio trucchi, posso permettermi di comprarmi chi voglio. E giù applausi. È tanto smaccata la sua alterigia, il suo modo di porsi, l’arroganza, la spocchia - diciamo il termine giusto - che a un certo punto, se sposi questa logica, o lo accetti o ti metti in un angolo. Non puoi reagire.
Ma perché alcuni reagiscono e altri no? Perché noi siamo disperati e vediamo nubi nere addensarsi all’orizzonte mentre loro inneggiano al grande capo?
Bisogna mettersi in testa che non è prendendosela con lui e con la pletora dei suoi accompagnatori, servitori, famigli, disposti a mentire su tutto e tutti, che si risolve il problema. Il punto è cominciare a dire chiaramente alla gente: siete dei coglioni, avete il cervello in stand by, vi hanno ipnotizzato, avete perduto coscienza civile, avete perduto ogni intelligenza, spirito, umorismo, riuscite a ridere davanti alle barzellette che racconta quel piazzista in doppio petto dal parrucchino inchiodato a macchina, o alle sue battute, o al suo comportamento con le donne.
Il pubblico tv, lei dice, si allena a diventare un giorno protagonista. Certo, Berlusconi ci è riuscito. Solo che la gente pensa che ci sia riuscito per le sue doti personali…
E non per corruzione! E anche quando la gente sa che ha corrotto, dice “bravo!” E lui continua a fare la vittima, a recitare la parte della vittima - questo è il fatto religioso - lui sarebbe un pover’uomo che ha la sfortuna di essere bravo, di farcela sempre. E poi ci sono i comunisti dappertutto; anche se ormai quelli che erano comunisti dicono “è vero, sì, siamo un po’ cattivi…”.
Si ricorda il discorso sulla Resistenza che gli hanno scritto - era chiaro, non c’era niente del suo linguaggio - sul rispetto che bisogna avere per chi ha dato la vita per la difesa del diritto alla democrazia chiamando i partigiani comunisti padri della patria? Beh, il giorno prima aveva detto sporchi comunisti e aveva sfottuto i lavoratori in attesa di licenziamento dicendo più o meno “cos’è ’sto lamento da disperati, datevi da fare, non rimanete lì ad aspettare che tutto arrivi dal cielo”.
Quando a12 o 13 anni - era la fine degli anni 60 - entrai nella libreria di quartiere e chiesi le opere di Dario Fo edite da Einaudi. La libraia mi rispose: le opere di quel comunista? Io quella roba non la tengo. Negli anni di “Canzonissima” e degli strali della Dc il suo lavoro fu colpito da una censura pesante, lei stette fuori dalle scene per molti anni, dovendosi inventare un percorso alternativo, quello della militanza - di una militanza che più che ideologica direi “umanitaria”. Che differenza c’è tra la censura di allora, che comunque aveva suoi valori di riferimento, ammesso che quelli lo fossero, e la censura di oggi che diventa una specie di controllo generico, vacuo, e che si richiama soprattutto a un presunto “buongusto”?
Nel libro appena uscito scritto da Franca con il mio appoggio, “Una vita all’improvvisa” (Guanda) c’è tutta la storia di quella persecuzione fatta di ricatti, di gesti, di terrorismo. Ci dicevano “guardate che voi non lavorerete più, guardate che vi capiterà qualcosa di brutto, guardate che ci sono anche quelli che sparano ad altezza d’uomo”. Allora esisteva una dicotomia enorme tra la cultura democratica, di sinistra, e la cultura clericale. C’era proprio un muro, uno iato enorme. I cattolici - e la destra, naturalmente - ci odiavano e ci temevano perché si rendevano conto che tutta la cultura che contava e che era rispettata anche all’estero era di sinistra.
C’era una partecipazione trascinante e positiva da parte del pubblico e della gente, c’era l’orgoglio di sentirsi parte “della tua parte”. E il rispetto e la considerazione per noi erano alti - noi che andavamo nelle fabbriche a occuparle insieme agli operai, che andavamo nelle università, che facevamo le manifestazioni, che recitavamo e mettevamo in scena i problemi di quella gente e facevamo satira contro quel potere. Pensi soltanto a quanti teatri sono nati allora, pensi a che cosa era il teatro popolare per noi che andavamo a recitare nelle case del popolo. Insomma, muovevamo un’attenzione e una partecipazione.
Non soltanto io e Franca e la nostra compagnia, ma decine e decine di gruppi; per non parlare della satira che si faceva nel cinema e su alcuni giornali e della letteratura. C’era la controinformazione. Tutto questo non esiste più. Si è riusciti ad assopire a ubriacare, a spegnere questo slancio. Ecco perché ripeto che Berlusconi fa bene il suo lavoro. E chi crede, rinnega tutto quello che è successo e diventa razzista. Il razzismo è proprio il risultato dell’ignoranza e della mancanza di dimensione umana. L’Umanesimo di cui noi italiani siamo stati gli inventori non c’è più. Ma dov’è la solidarietà se anche lo straccione dice “vai via, negro”?
Che rapporto ha oggi con un pubblico che non è più partecipe e appare frammentato?
Oggi non bisogna ricercare a ogni costo la partecipazione e la condivisione delle idee, ma la grande provocazione: bisogna mettere in imbarazzo un pubblico che non reagisce. Già il fatto di suscitare risentimento è un successo. Perché un pubblico che normalmente dorme non ha alcuna reazione. L’ignavia di cui parlava Dante è parte della nostra condizione.
Ma il suo pubblico è composto solo di gente che “già” la pensa come lei?
No, ci sono anche gli ostili e gli indecisi. Vengono a vedere i miei spettacoli perché vogliono sapere che cosa dico, perché ne hanno parlato i giornali. Poi però, per arrivare al momento in cui cresce la partecipazione, ci possono volere venti minuti. Ma il fatto che siano venuti è già buon segno.