Quella di Federico Barakat è la cronaca di una morte annunciata e avvenuta per mano del padre nel centro socio-sanitario dell’Asl, a San Donato Milanese.
Erano le 16,30 del 25 febbraio del 2009 ed era in corso una visita protetta. Il padre si uccise dopo avergli sparato e averlo colpito con venti coltellate. Federico morì 57 minuti dopo l’aggressione, aveva otto anni.
Per quella morte vennero rinviati a giudizio Elisabetta Termini, dirigente del servizio sociale, Nadia Chiappa assistente sociale e Stefano Panzeri, un educatore.
Dopo l’assoluzione in primo grado e la condanna a quattro mesi in secondo grado, inflitta solo alla dirigente del servizio sociale, la Cassazione il 28 gennaio scorso, ha assolto tutti gli imputati con una sentenza che pesa come un macigno sulla coscienza di un Paese che non è più capace di dare risposte a chi è più vulnerabile, né di tutelare e far rispettare diritti, persone, bambini e bambine. Federico aveva un diritto inalienabile alla vita che gli è stato negato ed è doveroso capire perché e come sia stato possibile che quella vita gli si sia stata tolta proprio quando, in seno alle istituzioni, avrebbe dovuto ricevere protezione.
Se ci fosse stata una condanna, questo caso avrebbe portato alla luce situazioni pendenti che riguardano molti altri bambini perché avrebbe fatto riflettere sulla gestione delle visite ai genitori in ambito protetto”: sono le prime parole che Antonella Penati, la madre di Federico, mi dice al telefono con una voce carica di un dolore senza confini. Il giorno della morte del figlio, aveva rivolto un ultimo disperato appello a Marco Zampieri, assessore ai servizi sociali: “sospendete le visite”.
L’avvocato Federico Sinicato, che è stato accanto ad Antonella durante i tre i gradi di giudizio, parla di delusione e incredulità per la sentenza della Cassazione e non esclude l’ipotesi, se ce ne fossero le condizioni, di ricorrere alla Corte di Giustizia di Strasburgo.
“Mi domando quanti bambini ci siano oggi, in Italia, che sono esposti a queste situazioni di pericolo? L’ipotesi che posso fare al momento è che esista un vuoto legislativo e una discrasia nel nostro ordinamento. Un decreto che affida un minore ai servizi sociali se ci sono situazioni di pericolosità da parte di uno dei genitori, deve prevedere sicurezza e protezione. Valuteremo cosa fare dopo aver conosciuto le motivazioni della sentenza”.
La pericolosità del padre di Federico (confermata da una perizia psichiatrica) non era sconosciuta ai servizi. Aveva commesso stalking e minacce e aveva un processo pendente che si sarebbe celebrato alla fine di marzo. Gli appelli che Antonella aveva rivolto ai servizi sociali vennero ignorati così come restò senza ascolto la paura di Federico costretto a vedere il padre.
La bigenitorialità e la tutela del rapporto con entrambi i genitori è un principio da rispettare nelle relazioni familiari fatte di amore e cura ma non quando ci sono situazioni di violenza da parte di uno dei due genitori e in gioco c’è la vita e la serenità dei bambini. In questa vicenda atroce non mancò nemmeno lo spettro della Pas e i pregiudizi misogini che contribuirono a rimuovere il pericolo della violenza.
“Madre isterica e iperprotettiva, così ero stata giudicata” mi dice Antonella che all’epoca dei fatti aveva perso l’affidamento esclusivo perché Federico era stato affidato al Comune di San Donato. Aveva chiesto aiuto alle istituzioni, protezione per sé e per il figlio e aveva subìto una ri-vitimizzazione.
Una situazione di maltrattamento e violenza confusa con la conflittualità come avviene troppe volte in contraddizione con le direttive internazionali. Eppure le linee guida per i servizi sociali emessi dalla provincia di Milano fanno riferimento agli incontri protetti perché vengano attuati in sicurezza con il genitore che ha agito comportamenti dannosi. Nei casi di incombente pericolo i servizi a cui è affidato un minore, hanno la stessa responsabilità dei genitori e possono adottare provvedimenti eccezionali e urgenti a tutela del minore, lo dice la legge, lo dicono le linee guida della provincia di Milano e la nostra Costituzione.
Vuoto legislativo o tragica vicenda di spocchia e superficialità? Come Dario Fo ebbe a dire, intervenendo il 25 febbraio 2014 al convegno su ‘La tutela del minore in ambito protetto‘. Se Federico fosse ancora vivo, oggi frequenterebbe il liceo e andrebbe incontro al suo quindicesimo compleanno con il futuro nelle mani. Così non è stato. Chi aveva la responsabilità e il dovere di proteggere il piccolo Federico? La risposta della Cassazione è questa: nessuno.
@Nadiesdaa