26 giugno 2007
Giovedì scorso dopo l’ultima puntata di “Anno Zero”, la trasmissione di Santoro, finita la messa in onda, appena fuori dallo studio si formò un capannello piuttosto numeroso di ragazzi che avevano partecipato al dibattito e di tecnici della Rai. Tutti si dicevano indignati per il comportamento inaccettabile dimostrato da Rutelli. Nell’ultima parte del programma, Santoro aveva dato la parola ad una donna di una cinquantina d’anni la quale iniziò a narrare la strage di operai avvenuta a Monfalcone (dove operano i famosi cantieri navali). I lavoratori dell’impresa in questione hanno utilizzato per anni l’amianto, notoriamente tossico. Molti operai ne venivano contaminati, uno appresso all’altro si ammalavano e in seguito ad una vera propria agonia sono morivano. Anche la donna aveva perso suo marito e parlava trattenendo a stento le lacrime.
Tutti noi presenti nello studio eravamo coinvolti e sconvolti da quella testimonianza, soprattutto ci indignava il cinismo dimostrato dai responsabili dell’impresa, il loro ipocrita scantonare dalle responsabilità appoggiati dai medici che palesemente andavano mistificando le diagnosi, così da togliere d’impaccio i datori di lavoro. Si stava vivendo una via crucis insopportabile dove giudici, autorità amministrative, politici locali e nazionali venivano alla ribalta unti e bisunti di infamità. La donna alla fine puntava il dito contro chi indifferente aveva permesso quel massacro annunciato da anni e direttamente si rivolgeva all’unico rappresentante del Governo presente alla trasmissione perché spiegasse per quale motivo suo marito avesse dovuto morire, e come mai nessuno dei responsabili fosse stato chiamato a pagare. Il Ministro Rutelli, piuttosto impacciato (e chi non lo sarebbe stato?!), prese la parola e incappò in un vero e proprio infortunio politico. Infatti all’uscita quei giovani spettatori lo accusavano di essersi posto immediatamente sulla difensiva, esprimendosi più o meno con queste parole: “Partecipo addolorato alla tragedia della signora, ma purtroppo non sono a conoscenza dei fatti. Ho seguito altre catastrofi del genere sul lavoro, ma di tutto questo ahimè non conosco nulla.”
E’ proprio su questa uscita che i ragazzi esplodevano indignati: “Ma ci voleva poco – commentavano – davanti ad una simile tragedia ad ammettere prima di tutto la responsabilità di tutti i dirigenti delle istituzioni: medici, polizia, giudici, imprenditori, sindacati e politici! Che altro valore e peso civile avrebbe determinato per Rutelli riconoscere: sono sconvolto e mi sento a mia volta responsabile per questa ennesima assenza degli organi costituiti davanti a una simile catastrofe. Ad ogni buon conto, poteva aggiungere, mi darò subito da fare per appurare le responsabilità di ognuno e le assicuro signora che farò l’impossibile perché lei, suo marito e tutte le vittime dell’impresa di Monfalcone abbiate soddisfazione per tanta ingiustizia e possiate essere risarciti di tutti i danni subiti. Basta con i morti accidentali: quelli del petrolchimico di Marghera e di Gela, quelli di Seveso, quelli dell’Acma di Cengio… Ve ne posso parlare perché da vice presidente del Governo è mio dovere sapere e denunciare.”
Invece abbiamo dovuto assistere alla solita agile fuga dalle responsabilità e quel che è peggio ci siamo trovati innanzi a una donna che veniva alla trasmissione con la speranza di vedere affiorare un atteggiamento di comprensione e solidarietà e invece eccola rimasta un’altra volta sola con il suo dolore. Per di più – e ne sono stato personalmente testimone – due collaboratori di Rutelli alla fine si sono avvicinati a Santoro piuttosto indignati accusando: “Voi avete approntato una trappola al vice presidente del Consiglio con questa messa in campo della vedova. Una trappola nella quale purtroppo Rutelli è caduto in pieno.” “No, scusate ma non c’è nessuna trappola – ha risposto loro Santoro – la vedova dell’operaio di Monfalcone è venuta qui con il diritto di raccontare della sua storia: era libera di esprimersi come le pareva, nessuno l’ha controllata o imboccata e questa vostra insinuazione ci indigna ancora di più.”
Dario Fo