Alcuni amici, a proposito della mia decisione di non presenziare martedì sera al dibattito sulle primarie svoltosi a Telelombardia, mi hanno criticato: non è stile certo elegante né dimostrazione di spirito democratico il rifiutare qualche giornalista in ragione della sua appartenenza a un giornale piuttosto che ad un altro.
Al che credo mi basterà proporvi questo fatto.
A Milano sette, otto anni fa, durante uno scontro fra giovani del cosiddetto movimento e la polizia, un gruppo di sconsiderati tra i manifestanti diede fuoco ad alcune macchine parcheggiate lungo un viale. Qualche giorno dopo, sul quotidiano “Il Giornale” (o l“Indipendente”) diretto da Vittorio Feltri, lo stesso che oggi dirige “Libero”, fu pubblicata una lettera di un operaio, il quale, rivolgendosi direttamente a me, così si esprimeva: “…Durante quei disordini andò bruciata la mia macchina. Quel mezzo mi serviva per raggiungere ogni mattina il mio posto di lavoro alla periferia della città. Ora io, Signor Fo, le chiedo ‘cosa mi resta da fare?’. Lei che è un uomo della sinistra, vicino tanto agli studenti rivoluzionari che agli operai, dimostri coi fatti di essere solidale con chi ha sofferto un disastro che lo porta alla disperazione. Mi devo alzare alle cinque del mattino per raggiungere il luogo dove lavoro. Sarò prevenuto, ma non credo che lei vorrà davvero aiutarmi. Ad ogni modo attendo fiducioso. Lettera firmata.”
Quella lettera, è ovvio, mi ha lasciato piuttosto amareggiato, sconvolto. Ho telefonato immediatamente alla redazione del quotidiano, chiedendo di conoscere il nome dell’operaio danneggiato. Mi hanno risposto che il responsabile della pagina delle lettere non era presente e che sarei stato raggiunto telefonicamente il giorno appresso. Due giorni appresso mi rifaccio vivo, ma mi rispondono che la busta sulla quale erano il nome e l’indirizzo era andata perduta. Decido di rivolgermi alla polizia. Chiedo a un maresciallo se è in grado di fornirmi il nominativo del proprietario della vettura bruciata. In un primo momento il graduato mi risponde che non gli era possibile svelare il nominativo del danneggiato, ma appresso, quando gli leggo la lettera dell’operaio apparsa sul quotidiano, si decide a darmi qualche informazione: “I mezzi andati in fiamme sono tre: uno è un camioncino, l’altro è un furgone, la terza vettura non corrisponde ai dati da lei forniti e il proprietario della medesima è stato già rintracciato. È una donna impiegata al Comune. Mi dispiace per lei ma è evidente che quella lettera ha tutta l’aria di essere un falso.”
Scrivo al giornale per comunicare il risultato delle mie indagini. Mi rispondono in calce che la redazione non ha nessuna responsabilità della beffa pubblicata. “Se dovessimo indagare sull’autenticità di ogni missiva saremmo costretti ad assumere una nutrita squadra di investigatori.”
Nessuno mi può togliere dal cervello che in verità la lettera in questione sia stata architettata in redazione al solo scopo di buttarmi addosso fango a volontà.
Ecco perché credo di avere tutto il diritto di non sentirmi a mio agio all’idea di dover dialogare con un inviato del quotidiano diretto da Vittorio Feltri.
Non sto a elencare altri episodi egualmente scorretti e sgradevoli accaduti in questi ultimi anni.
Dario Fo, 18 gen. 06