Massimo Sorci - 22 febbraio 2012
La storia è questa qua. Al Teatro Apollonio di Varese va in scena “Mistero buffo” con Dario Fo. Nel foyer c’è un banchetto di Comunione e liberazione che raccoglie fondi per i poveri. “Banco nonsolopane onlus”, si chiama. Angelo Micale, volontario ciellino e ammiratore dell’attore – così si definisce – va in camerino e chiede al Premio Nobel una mano. Servirebbe solo un avviso a fine spettacolo. L’attore – racconta Micale – prima fa una mezza promessa, poi ci ripensa. Il direttore del teatro – che ogni anno sostiene una diversa associazione benefica – riferisce che Fo non se la sentiva di andare contro la platea: “il pubblico di sinistra non avrebbe capito”.
Qualcuno in rete parla di censura. La rivista Tempi di odio per i ciellini. Dario Fo – eccola la spiegazione autografa del gran rifiuto – semplicemente di legittima rivalsa nei confronti di chi “mi ha boicottato duramente come attore, come interprete e capocomico". Ergo, "non voglio fare da portavoce ad un gruppo come quello, di cui ho peraltro delle memorie orrende. A Padova – sottolinea – Cl aveva in mano il teatro cittadino. E, per dieci anni, non mi è stato permesso di lavorare lì”. Dunque non si è nascosto dietro l’alibi untuoso e vagamente democristiano della difesa dei suoi spettatori, ma si è assunto la responsabilità di uno schietta, terrigna, umanissima, deliberata risoluzione. Rancorosa, se volete, ma comprensibile.
Ora, ognuno è padrone della propria storia e custode della propria coerenza. Così come ognuno sa in cuor suo quando la carità cristiana e la buona fede lasciano il posto al pretesto promozionale e all’ingenua provocazione, magari anche non voluta. In ogni caso qua non ce la sentiamo di crocifiggere Dario Fo. Non certo perché siamo degli agit prop comunisti, ma per una semplice ragione di natura strettamente liberale: potrà scegliere di fare come gli pare, anche di cambiare idea, motivando la decisione? In fin dei conti quello era il suo spettacolo, no?
fonte: linkiesta.it