di Francesco Greco. Ora qualcuno sarà tentato di dare una mano di caffellatte al Bambinello nel presepe. Sarebbe un sacco provocatorio e iconoclasta, in linea con la filosofia e l’estetica del miglior Dario Fo: sapido, irriverente, paradossale. Che contaminando la scienza col teatro, ha riletto l’evoluzione della specie di Charles Darwin e come al gioco dell’oca ha fatto tutti i collegamenti che noialtri piccolo-borghesi per pudore, pavidità, opportunismo ci rifiutiamo di fare.
E decodificando a modo suo le notizie scientifiche apparse negli ultimi anni sui quotidiani e le riviste più autorevoli (“Nature” in primis), è giunto alla conclusione che Dio è nero. Non solo, a epatèur le bourgeois, aggiunge che è pure femmina. Il nostro primo avo ha la pelle scura e le mestruazioni. Aprì gli occhi nell’Africa subsahariana, Corno d’Africa, l’attuale Etiopia, intorno a 200mila anni fa. “Sono ottomila generazioni – riflette Telmo Pievani in postfazione – prendete un vostro nonno e poi andate indietro al nonno di vostro nonno, per quattromila volte, e poi ancora al nonno del nonno di vostro nonno e arrivate al vostro anziano supernonno che faceva parte del gruppo di pionieri…”.
Il puzzle prende forma sino al sillogismo automatico: Se il primo uomo è nero, il loro Dio non può che avere lo stesso colore di pelle. Farà inorridire i razzisti, i leghisti dop, il Kkk e tutto il pensiero farneticante nidificato attorno alla purezza della razza, ma “Dio è nero!” (Il fantastico racconto dell’evoluzione), Raffaello Cortina Editore, Milano 2011, pp. 104, € 21 (libro con 44 disegni dell’attore + dvd, a cura di Franca Rame e Felice Cappa) apre insospettati orizzonti a un’umanità che ha relativizzato tutto e che ora ha almeno una certezza cui aggrapparsi nel mare procelloso del revisionismo (g)local: la pelle scura del Dio dei cristiani, e la vagina della Grande Madre.
Il monologo (“dialogo fra due esseri comuni”) di Dario Fo in veste di “sciamano che crea miti fatti di sapienza e immaginazione” (Felice Cappa in prefazione) andò in scena a Milano (aula magna del Museo di Storia Naturale) la sera del 13 febbraio scorso in occasione dell’Evolution Day. Un happening commuovente in cui l’istrione (Nobel 1997 per la Letteratura) inventore di mille gramelot e il pubblico toccarono vette di complicità intellettuale e sensuale: un mantra, un’alchimia oscura rada nel teatro da Sofocle a Arthur Miller e Jean Genet.
La password della “Genesi” è quella che attraversa come fuoco greco tutta l’opera del giullare: lo scetticismo dei Lumi, l’irriverenza maieutica, il lazzo ateo, il ghigno sulfureo e poetico di chi denuda il Re, i teologi, gli scienziati, i politici, gli economisti che teorizzano il “progresso infinito” (delle bolle, i default, i cigni neri che finanziano le banche fallite e affamano miliardi di persone). Zolfo a piene mani sui miti, le icone, le menzogne della modernità che ci fa ingollare il becchime di ogni regime come polli d’allevamento e mette “gli uomini più potenti in cima alla piramide del mondo, creandosi un Dio a propria immagine e somiglianza” (Cappa).
Non resta che chiedere anche noi a Fo, citando Federico, il bambino di 10 anni che l’ha fatto quella sera tra scimmie, uccelli, serpenti, ossa, piante carnivore, fossili, ecc., beccandosi la standing-ovation: “Come si diventa primitivi?”. Magari col desiderio inconscio di tornare nell’utero rassicurante della nostra Eva nera con cui condividiamo il dna mitocondriale. Se il Dio che gli uomini si sono dati “per proteggersi da quello che non conoscevano, o non riuscivano a dominare” (Cappa) non può più far niente per noi, forse saremo salvati dai bambini: bianchi, neri, ramati, occhi a mandorla, pel di carota…
fonte: giornaledipuglia.com